Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Le toghe del patto: «Troppi malati, così avremo tempo per tutelarci»
VENEZIA Una difesa su tutta la linea, punto per punto, ma affidata solo a una nota scritta, giusto perché tutte le virgole siano a posto. Il presidente del tribunale di Venezia Manuela Farini e quello dell’Ordine degli avvocati di Venezia Paolo Maria Chersevani non ci stanno a finire sulla graticola per il protocollo firmato il 6 marzo scorso, che regola le udienze dei ricorsi dei migranti richiedenti protezione internazionale. «L’obiettivo del protocollo è assicurare una gestione dei procedimenti maggiormente efficiente, nell’interesse primario del ricorrente ad ottenere una risposta giudiziaria in tempi compatibili con le esigenze di celerità previste dal legislatore e nel rispetto del diritto di difesa costituzionalmente garantito», è la premessa. Ma prima di affrontare le questioni più tecniche, bisogna saltare al punto 7 del documento, che spiega la misura più contestata, cioè quella che chiede all’avvocato del migrante di far sapere se il suo cliente ha malattie infettive e di produrre un certificato medico per scongiurare il rischio di contagio. «Si riferisce alle patologie trasmissibili per via aerea, in particolare alla Tbc, da cui sono risultati affetti numerosi ricorrenti - è scritto - Il Mycobacterium tuberculosis rimane sospeso in aria e viene trasportato dalle correnti anche a notevole distanza dal punto di emissione, rimanendo vitale a lungo nell’ambiente». Dopo una piccola «bacchettata» ai difensori – «è accaduto spesso che la comunicazione (della malattia, ndr) sia stata effettuata solo all’udienza, senza alcuna certificazione di avvenuto superamento della fase contagiosa e quindi senza consentire al giudice di adottare le doverose misure» (un’aula defilata o un orario di minore afflusso) – spiegano poi che questi non avranno obblighi, perché nel testo si dice che devono comunicarlo «ove siano a conoscenza».
Magistratura democratica e gli avvocati che si occupano di immigrazione avevano lamentato una grave violazione della privacy. «Nel necessario bilanciamento tra le esigenze di salute pubblica e quelle della privacy la legge ha accordato la prevalenza alle esigenze di tutela della prima», spiegano Farini e Chersevani. Ed elencano le norme e anche le linee guida per il controllo della tubercolosi nella Regione Veneto, che nel 2014 dicevano che «tra i soggetti ad alto rischio ci sono gli immigrati che provengono da Paesi ad alta endemia tubercolare». «Il problema è quindi oggettivo e non frutto di pregiudizi o discriminazioni - è la chiosa finale - In ogni caso i ricorrenti affetti da Tbc sono stati sempre sentiti, in presenza dei necessari presupposti». I presidenti spiegano poi che la prassi di far parlare il ricorrente senza interventi del difensore è conforme al codice: l’avvocato può essere presente, com’è ovvio, ma l’audizione deve essere condotta dal giudice «in modo ininterrotto, senza che il difensore possa intervenire con domande preventive o suggestive». Mentre la «sanzione» per i legali «ritardatari» oltre i dieci minuti, che prevede una riduzione del tempo dell’audizione, è dovuta alla necessità di gestire tantissime udienze al giorno senza possibilità di rinvii, per non creare danni agli altri utenti della giustizia. Infine vengono difese le previsioni di una apposita lista di avvocati specializzati e un compenso massimo per i patrocini a spese dello Stato. La presidente della Corte d’appello Ines Marini non si esprime nel merito («sono decisioni discrezionali del capo dell’ufficio») ma pare in linea: «Le risposte siano state chiare, precise e basate sulle norme - dice - Il tentativo è quello di risolvere il problema di un contenzioso che drena molte risorse». Quanto al problema sanitario, Marini non lo nasconde: «E’ un aspetto reale che merita attenzione - conclude - il rischio è non solo per i magistrati ma anche per il pubblico».
Il tema dell’efficienza
L’obiettivo del protocollo è assicurare una gestione dei procedimenti maggiormente efficiente, nell’interesse primario del ricorrente (...) e nel rispetto del diritto di difesa costituzionalmente garantito
I precedenti È accaduto spesso che la comunicazione (della malattia, ndr) sia stata effettuata solo all’udienza, senza certificazione di avvenuto superamento della fase contagiosa e quindi senza consentire al giudice di adottare le doverose misure