Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Profughi e malattie, i veri nodi
Le inadempienze e insufficienze dello Stato aggravano la situazione: si pensi soltanto alla mancata videoregistrazione, per carenze di strutture tecnologiche, del colloquio personale presso le Commissioni Provinciali che, se invece assicurata, renderebbe in molti casi per legge superflua la comparizione del rifugiato in Tribunale. Certamente alcuni aspetti del protocollo si prestano a maliziose letture non accettabili e incompatibili ad esempio con l’inviolabile diritto di difesa. E’ stato però opportunamente chiarito un evidente caso di misunderstanding e cioè che il protocollo non esclude certo – né potrebbe farlo - l’assistenza necessaria del difensore ma si limita a sottolineare l’esigenza che «l’audizione sia condotta dal giudice senza interruzione salva la possibilità di approfondimenti successivi». Il vero punctum dolens rimane quello della previsione n. 7 del protocollo. Certo non sarebbe nemmeno immaginabile – come qualcuno erroneamente ha detto - pretendere la produzione di un certificato medico per consentire la partecipazione all’udienza del rifugiato. In realtà è previsto che «i difensori ove siano venuti a conoscenza di malattie infettive del ricorrente sono tenuti a comunicarlo al Giudice prima dell’udienza». E qui occorre intendersi: non è infrequente che il difensore adduca, a volte solo nel corso dell’udienza, una patologia del proprio assistito allo scopo di fargli ottenere, in caso di esclusione dello status di rifugiato, la c. d. protezione sussidiaria per ragioni umanitarie. Ebbene in questo caso risulta evidente che la patologia è circostanza già nota al difensore ma non comunicata al giudice che gestisce l’udienza, e poiché a seconda della natura della malattia (e cioè se, o meno, attivamente contagiosa) può essere doveroso predisporre delle misure protettive a tutela della salute pubblica, e più concretamente di tutti coloro che frequentano le aule dei tribunali e partecipano alle udienze (avvocati, pubblico funzionari etc), e non certo soltanto del giudice che la conduce, si prevede che quest’ultimo ne debba essere tempestivamente informato allorché si tratti di malattia infettiva. Solo in questo caso è previsto che il difensore richieda al ricorrente «certificazione che attesti l’assenza di pericolo di contagio», così evitandosi l’aggravio delle altrimenti necessarie cautele. Ciò dovrebbe valere, ed anzi deve valere per tutti i casi simili, quale che sia la nazionalità e la provenienza della persona chiamata a comparire, ma poiché come è stato chiarito da un illustre esperto della materia su questo stesso giornale vi sono Paesi, come ad esempio quelli dell’Ovest africano dove la «situazione è disastrosa», e i dati statistici specifici giustificano misure organizzative di scala è stato ritenuto opportuno inserire la previsione specifica nel protocollo organizzativo.