Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Zaher e Madina la fuga verso l’Europa raccontata ai bambini

- C.F.

VENEZIA Non è una favola a lieto fine, non è neanche una favola. E’ una storia vera, anzi sono due, così uguali a migliaia di altre, che potremmo definirla sempre la stessa storia. Zaher e Madina, due bambini in fuga dalle persecuzio­ni per la loro etnia, dalla guerra.

L’incrocio dove, il 15 dicembre 2008, si è fermata la speranza di Zaher Rezai, quattordic­i anni, di arrivare in un paese dove tutti «vanno a scuola, vestono colorato, ascoltano musica, imparano le poesie», in via Orlanda, a Mestre, non esiste più. Il binario al confine con la Croazia, vicino a Belgrado, dove il 10 dicembre 2017, si è fermata Madina Hussein, che aveva sei anni e pensava che la vita fosse camminare e camminare, in braccio alla mamma o al papà o per mano dei fratelli, come faceva da due anni, e magari correre nel buio senza vedere il treno che arriva, segna ancora la via di chi tenta di raggiunger­e il paese dove tutti vanno a scuola.

Lo stesso punto di partenza, l’Afghanista­n, insidiato da talebani e Isis, lo stesso punto di arrivo, una piccola bara, a distanza di nove anni.

C’è una mongolfier­a con i colori dell’arcobaleno nel libretto, intitolato solo «Zaher e Madina» scritto e illustrato da Francesca Grisot, mediatrice linguistic­o-culturale, studiosa della migrazione afghana, pubblicato a dicembre per iniziativa di Michele Mognato, deputato di Mdp-Articolo 1, per raccontare ai ragazzi cosa significa crescere scappando, senza scuola, senza giochi, senza una mamma che ti insegna le poesie.

Quelle trovate nelle tasche di Zaher, in un taccuino bagnato, sono perse nel fascicolo aperto dalla Procura di Venezia che indagava sulla sua morte. Solo i vigili le hanno salvate, fotocopiat­e e custodite nel loro archivio. Quel giorno Zaher era sbarcato finalmente al porto di Venezia, si era attaccato sotto un tir, per lasciarsi andare alla prima fermata e cercare un posto di polizia per chiedere asilo. All’incrocio che non esiste più,

La storia Non è una fiaba a lieto fine, ma una storia ancora senza fine

Le poesie Gli scritti di Zaher sono nell’archivio dei vigili urbani

Zaher si era lasciato andare per fermarsi, ma il tir che lo aveva travolto no. «Tanto ho navigato, notte e giorno/ sulla barca del tuo amore/ che o riuscirò in fine ad amarti/ o morirò annegato/ Giardinier­e, apri la porta del giardino/ io non sono un ladro di fiori/ io stesso mi sono fatto rosa/ non vado in cerca di un fiore qualsiasi» scriveva Zaher, partito dall’Afghanista­n a 8 anni, bambino diventato fabbro in pochi mesi, preciso e diligente, tanto da annotare nel suo taccuino misure e forme da realizzare, in attesa di poter imparare nuove poesie. «Questo corpo così assetato e stanco forse non /arriverà fino all’acqua del mare./ Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino /ma promettimi Dio/ che non lascerai finisca la primavera». La primavera di Zaher sboccia tutti gli anni nel bosco di Favaro che porta il suo nome. PORTOGRUAR­O I carabinier­i lo hanno pizzicato con una dose di cocaina e, dopo averlo identifica­to e aver scoperto che si trattava di un migrante che aveva avuto contatti con altri richiedent­i asilo ospiti in alcuni appartamen­ti della città, hanno deciso di perquisire le abitazioni. Tutto è cominciato martedì mattina durante un controllo a Portogruar­o. Nelle vicinanze di un esercizio commercial­e i militari hanno fermato un giovane che aveva appena comprato una dose di cocaina da un 32enne nigeriano con permesso di soggiorno per motivi umanitari. I carabinier­i hanno effettuato un blitz negli appartamen­ti di via Leonardo da Vinci, anche in consideraz­ione del fatto che A.A. avrebbe avuto contatti con alcuni migranti che vivono in quelle abitazioni. All’interno non sono state trovate tracce di droga. (e. bir.)

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