Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
CULTURA, POLITICA E IMPRESA
Riflettevo in questi giorni sui dati dell’Art Bonus, il credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura, delle arti e dello spettacolo, uno strumento vissuto spesso come una scorciatoia di fiscalità dato che prevede una detraibilità del 65% sulle donazioni. La raccolta nazionale complessiva è al momento di 246.473.989 di erogazioni, con la Regione Veneto terza nella graduatoria nazionale a quota 32.326.824 dopo i 33.378.154 del Piemonte e i 100.412.020 della Lombardia. Ne esce una sensibilità del privato verso la cosa pubblica in crescita che andrebbe meglio gestita e stimolata dalla politica nei singoli territori. L’investitore privato, uno dei capisaldi nel mondo anglosassone, quando si avvicina alla cultura spaventa per definizione (ricordiamo tutti il caso Della Valle/Colosseo) ma questi interventi sono il modo più sensato per abilitare il privato a diventare protagonista di un sistema di valorizzazione partecipata. «Privato è bello», bisognerebbe incominciare a gridare nei teatri e nei rassemblement culturali. Cosa farebbe il FAI, il Fondo Ambiente Italiano, senza gli interventi privati? Diversi i fattori che concorrono al successo di un progetto culturale su cui la politica, quella che gestisce e programma, deve riflettere. Essa deve mettere da parte una volta per tutte il tema della mancanza di risorse a vantaggio, invece, dello sviluppo di idee e di visioni strategiche a mediolungo termine.
È la politica che deve avviare un coinvolgimento dei vari attori che operano sul territorio e per il territorio; è la politica, ancora, che deve stimolare la capacità di chi produce cultura a impegnarsi sul territorio e per il territorio anche se spesso, come sappiamo, le strutture sono bloccate al loro interno da gravami normativo-burocraticosindacali che le appesantiscono nei bilanci costringendole di fatto ad un non intervento sul territorio o ad abbassare il livello qualitativo delle loro produzioni con la conseguenza di declassificazioni e di penalizzazioni. Chi opera in un contesto pubblico e utilizza risorse pubbliche deve avere la capacità di produrre innovazione, gestionale e di visione e sapersi liberare da gravami obsoleti e non più sostenibili. Altresì, invece, chi opera nel privato deve avere la capacità di cogliere le opportunità, essere abile a utilizzare le risorse reperite sul mercato in cui vive la propria azienda ma deve avere anche la voglia e l’intuito di abbinare alla strategia di crescita dell’azienda, una diversificazione di investimenti che consenta così di programmare, al di là delle specificità del settore in cui si opera (assicurazioni, bancario, turismo, edilizia, etc.), un investimento di risorse per attività di valorizzazione e fruizione. L’investimento in cultura e conoscenza rappresenta la sfida su cui tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo. In questo contesto bene ha recentemente fatto Cattolica Assicurazioni ad intervenire a favore di Fondazione Arena di Verona e altri, forse, seguiranno stimolati dall’intervento di Federico Sboarina, sindaco di Verona e presidente della Fondazione Arena. È la politica, infatti, che deve avviare un coinvolgimento dei vari attori che operano sul territorio e per il territorio. Va da sé che poi tali risorse aggiuntive andrebbero utilizzate per la crescita di tali enti e non per sanare passività pregresse o incrementare la spesa corrente. Quello che serve, allora, è una macchina che funzioni e un disegno scientifico chiaro che faccia ripartire un settore ma su basi di un maggiore rigore gestionale e di una collaborazione di tutti, in primis la politica e le parti sociali. Su questo punto può anche giocarsi il destino della nostra regione dove, per una diversità di ragioni, specifici interessi ed attenzioni non sono decollate.