Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Cordata padovana vuole l’Umberto I
Dieci anni fa l’abbandono dell’ospedale. L’area vale un terzo di quanto è stata pagata
MESTRE Dovevano sorgere tre grattacieli e un nuovo quartiere di lusso, invece la Dng, la società trentina che aveva acquistato il compendio per 50,8 milioni di euro, è fallita e c’è un buco nero a due passi dal centro di Mestre. Adesso una cordata di imprenditori padovani è pronta ad acquistare i terreni Il perito si è preso un po’ di tempo in più del previsto, ma pare che la stima finale sia tra i 15 e i 20 milioni, cioè un terzo di quanto l’area fu (stra)pagata nel 2007.
VENEZIA «Ore 14,01, è fatta!», aveva gridato l’allora direttore dell’ospedale Onofrio Lamanna. Era il 14 giugno 2008 e lo spumante, i bicchieri di carta e qualche occhio lucido salutavano per l’ultima volta l’Umberto I, che dopo 102 anni lasciava spazio – dopo il trasloco dell’ultimo reparto, il pronto soccorso – all’Ospedale dell’Angelo di Zelarino. Oggi sono quindi passati dieci anni da quando l’Angelo è in piena operatività e in questo periodo l’ospedale mestrino si è rinnovato tanto, allargando reparti e cambiando medici e infermieri, migliorando l’attrezzatura e i macchinari, e diventando anche un po’ 2.0 con l’app che accompagna il paziente fino all’ambulatorio per evitare che si perda nel labirinto dei corridoi. Ma al decennale dell’ospedale corrisponde anche quello del «buco» dell’ex Umberto I: una voragine reale, ma soprattutto simbolica nel centro di Mestre. Dovevano sorgere tre grattacieli e un nuovo quartiere di lusso centralissimo, come aveva disegnato il compianto architetto Giorgio Lombardi nel progetto che nel 2007 aveva vinto il concorso di idee per la riqualificazione dell’area. E invece la Dng, la società trentina che aveva acquistato il compendio per 50,8 milioni di euro dall’Usl 12, prezzo probabilmente eccessivo, si è impantanata nella crisi immobiliare e dopo anni di trattative con il Comune e le banche, a Natale ha alzato bandiera bianca ed è fallita.
Ora però in fondo al tunnel si intravede un po’ di luce. Fin dai tempi in cui la proprietaria era ancora la Dng si erano fatte avanti due cordate interessate a subentrare per sviluppare il piano: ma ora in corsa ne sarebbe rimasta una sola, composta da imprenditori padovani e rappresentata da un avvocato della città del Santo, mentre l’altra si è defilata. Davanti ci sono due strade: una, quella più probabile, è la presentazione alla curatrice fallimentare della Dng, la commercialista mestrina Federica Candiotto, di un piano di concordato fallimentare, che consenta di ripartire con l’investimento dopo aver saldato tutti i debiti. Il «buco», anche finanziario, è notevole, con una cifra di circa 50 milioni che potrebbe crescere di altri 10, che sono ancora alla verifica del giudice: la maggior parte dei debiti sono nei confronti delle banche (Unicredit, Volksbank, Cassa Rurale di Rovereto, Banco Popolare di Credito Valtellinese). L’alternativa sarebbe un’asta, a cui ovviamente potrebbero partecipare tutti. E’ per questo che alcuni rumors dicono che la cordata padovana sarebbe praticamente pronta a presentare l’offerta, dopo aver sistemato le pendenze. Il tribunale fallimentare ha anche affidato una perizia di stima dell’area, che ovviamente sarebbe fondamentale in caso di asta, ma che comunque è indicativa del valore del bene. Il perito si è preso un po’ di tempo in più del previsto, ma pare che la stima finale sia tra i 15 e i 20 milioni, cioè un terzo di quanto l’area fu (stra)pagata nel 2007: peraltro già all’epoca l’Usl l’aveva messa a gara con una base d’asta di 37 milioni di euro, ma la Dng fece un rilancio di 13 milioni.
Il Comune per ora è alla finestra. «Vorrei davvero che arrivasse un investitore pronto a regolare tutto con le banche - dice l’assessore al Patrimonio Renato Boraso - A quel punto auspicherei un incontro col sindaco per ripensare il progetto, visto che quanto previsto per l’area oggi è fuori scala, superato. Dalle stelle di dieci anni fa, siamo caduti nelle stalle». Dovevano arrivare tre torri alte cento metri da più di venti piani ciascuna, palazzine per il social housing a fianco del Marzenego, parcheggi, negozi, uffici e verde. Poi nel 2015 il commissario Vittorio Zappalorto prima delle elezioni, rivide il progetto: stop alle torri, meno case e al suo posto un hotel da 8.600 metri quadrati. In tutto, 55 mila metri quadrati di nuovi edifici, di cui 16 mila di negozi, 10 mila in più rispetto al piano del 2007.