Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Quattromila rom: la metà integrati
Ecco i dati della popolazione nomade in Veneto, compresi i sinti. «I grandi campi stanno sparendo»
VENEZIA Sono fra i 3500 e i 4mila i Rom e sinti stanziali in Veneto. E oltre la metà non vive più nei campi di grandi dimensioni, in via di sparizione, ma su terreni di loro proprietà oppure nelle case popolari, come accade a Treviso e a Chioggia. «Sono d’accordo con il ministro Salvini nel chiudere i grandi campi — dice il presidente della Federazione Rom e sinti insieme, Davide Casadio — ma non gettando la gente in strada». Finco (Lega): «Si paghino l’affitto».
VENEZIA Per rispondere al censimento dei nomadi richiesto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nel Veneto sono fra i 3500 e i 4mila i sinti e i Rom ormai stanziali. Negli ultimi dieci anni infatti sono quasi del tutto scomparsi i grandi campi (fatta eccezione per quello di Favaro Veneto, che conta ancora un migliaio di persone), per fare spazio alle microaree, con relativi terreni acquistati dai nomadi che vi abitano in roulotte o nei prefabbricati, e ai primi trasferimenti nelle case popolari, come accade a Treviso e a Chioggia.
Nuovi stili di vita che riguardano oltre la metà dei nomadi presenti nella nostra regione. Formule abitative e di integrazione diverse, distribuite in sei province su sette, con l’eccezione di Belluno, che non conta nessun insediamento. A Padova resta il campo di via Longhin ormai fatto di casette (200 persone); a Vicenza ci sono il campo di via Cricoli e le microaree di Costabissara, Creazzo, Torri di Quartesolo e Quinto (in tutto circa 700 tra Rom e sinti); nel Trevigiano si contano i campi di Castelfranco e Vedelago, oltre alla casa comprata da un gruppo di nomadi a Paese; a Verona ci sono l’area attrezzata di via Forte Azzano (100 persone) e il campo di Strada La Rizza (80). «Sono sinti italiani, residenti a Verona — spiega Luigi Altamura, comandante della polizia municipale scaligera — che noi controlliamo ogni sei mesi, anche con l’aiuto di polizia di Stato, carabinieri e Ufficio anagrafe del Comune. Verifichiamo arrivi, partenze, proprietà, assicurazione delle roulotte: sappiamo chi sono, li conosciamo tutti, pagano la concessione dei terreni. Sul mio palmare ho costantemente la fotografia della situazione. Poi, in stazione, va e viene una quindicina di Rom dedita all’accattonaggio, che teniamo sotto controllo».
Nel Veneziano oltre al campo di Favaro Veneto c’è quello tra Portogruaro e Concordia Sagittaria, mentre il Polesine ne conta uno a Badia. «La situazione nel Veneto è tranquilla — assicura Davide Casadio, presidente della «Federazione Rom e Sinti insieme» e residente a Vicenza — i pochi campi rimasti sono già censiti e i grandi assembramenti, di difficile gestione (dove spesso le forze dell’ordine hanno arrestato pregiudicati, ndr), non ci sono più. Concordiamo con il ministro Salvini nell’esigenza di chiudere quelli rimasti, perché ci ricordano i campi di concentramento, sono anti-dignità, ma non sulle modalità. Non si può arrivare con la ruspa e buttare in mezzo alla strada gente magari nata in Italia e che qui abita da generazioni. E non si possono nemmeno trasferire i Rom dal campo direttamente in casa, perché se ne vanno subito. Bisogna procedere per step, cioè passare dal campo alle microaree, dalla roulotte alla casetta e quindi all’alloggio popolare. Ma gradualmente».
Casadio tiene poi a sottolineare la differenza tra Rom e sinti: i primi arrivano dalla Romania, i secondi da Francia, Germania e Olanda. «I Rom sono soprattutto commercianti — precisa — noi sinti viviamo in questo Paese da 600 anni e i sinti veneti parlano veneto. Abbiamo portato il divertimento, un tempo facendo ridere re e regine, cantando per i Papi, diventando saltimbanco, ai tempi nostri con le giostre. Noi siamo più stanziali, siamo dediti al lavoro, ormai in tutti gli ambiti: in fabbrica, nell’agricoltura, nel commercio. I Rom appena arrivati si arrangiano con l’accattonaggio e poi fanno compravendita. Mai avuto problemi con loro, ma noi non siamo Rom, non parliamo la loro lingua». All’integrazione dei nomadi si è dedicata Legacoop. «Siamo intervenuti con educatori e mediatori culturali per agevolarne l’inserimento lavorativo o risolvere problemi sociali o legati ai minori — spiega Loris Cervato, responsabile per il Sociale — ma ormai la situazione si è molto evoluta. Mandano i bambini a scuola, sono stanziali, perciò grandi criticità non ne emergono da tempo».
Ma nel 2015 l’attuale capogruppo della Lega a Palazzo Ferro Fini, Nicola Finco, chiese e ottenne l’abrogazione della legge regionale che prevedeva contributi ai Comuni per i campi e l’integrazione dei Rom. «Così come possono comprarsi i macchinoni sono in grado di pagarsi un affitto, lavorare e mandare i figli a scuola — sostiene Finco —. Nelle case popolari ci devono andare le famiglie in difficoltà che hanno sempre pagato le tasse. E non è il loro caso».
Legacoop La situazione è tranquilla, i nostri educatori e mediatori culturali hanno agevolato inserimenti lavorativi e sociali
Nicola Finco Chiesi e ottenni, nel 2015, l’abrogazione della legge per i contributi a loro favore. Hanno macchinoni, si paghino anche l’affitto. E lavorino