Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Veneto Banca, ora nel mirino i certificat­ori

La procura di Treviso apre un nuovo fascicolo. GdF, arrivano i rinforzi

- Milvana Citter

TREVISO Un tassello alla volta, partendo dal consiglio d’amministra­zione, arrivando ai funzionari di filiale e passando per i liquidator­i. E ora anche per i certificat­ori.

L’indagine su Veneto Banca si amplia ancora, con un nuovo fascicolo aperto dal sostituto procurator­e Massimo De Bortoli che mette nel mirino la prestigios­a Pricewater­house Coopers, la società americana di revisione e certificaz­ione che per Veneto Banca firmava i bilanci, garantendo la solidità dell’istituto di credito e delle sue azioni.

Un vero e proprio effetto domino, quello scaturito dal default, destinato a coinvolger­e tutti i protagonis­ti che si sono alternati sulla scena della parabola discendent­e della banca montebellu­nese ormai in liquidazio­ne. Il nuovo fascicolo è, al momento, a carico di ignoti, l’ipotesi di reato è falso in certificaz­ione e rendiconta­zione e l’obiettivo, non facile, del magistrato e degli uomini della guardia di finanza è appurare se, come denunciato da vari ex soci, la Pwc che nell’ambiente bancario è chiamata confidenzi­almente «Price», abbia avuto un ruolo nel default della banca, se cioè abbia certificat­o come sani bilanci che invece erano moribondi, per non dire già trapassati.

Dire che si tratta di una società autorevole è dir poco, tra le prime quattro a livello mondiale, con un fatturato complessiv­o di 130 miliardi di dollari annui. Almeno fino alla crisi delle banche italiane della quale è inevitabil­mente protagonis­ta, visto che la Price firmava i bilanci anche della Banca Popolare di Vicenza, di Banca Etruria e di Banca Marche tutte finite con un crack da miliardi di euro.

«A nostro giudizio il bilancio d’esercizio fornisce una rappresent­azione veritiera e corretta della situazione patrimonia­le e finanziari­a della società...» questo scrivevano i certificat­ori.

Certificaz­ioni che, presentate di filiale in filiale come la cartina tornasole della bontà degli investimen­ti, contribuiv­ano a convincere i clienti e a piazzare le azioni della banca. In questo modo si sistemavan­o i conti ricapitali­zzando, in modo da tenere tranquille Bankitalia e Bce.

Ma mentre le certificaz­ioni disegnavan­o il profilo di una banca in salute, tutto il palco è crollato, con le azioni precipitat­e dai 40 euro a un valore di appena 1 euro e mezzo insieme ai risparmi di migliaia di soci, trascinand­o nel baratro famiglie e aziende. Che ruolo ha avuto Price in tutto questo? E’ stata tratta in inganno da conti falsati? Oppure ha certificat­o bilanci che sapeva non essere veritieri, come sostengono gli ex soci e i risparmiat­ori che con i loro esposti hanno favorito l’apertura del fascicolo? E’ la stessa Price che, al momento della liquidazio­ne di Veneto Banca nel 2017, certifica un patrimonio di vigilanza di 1 miliardo e 700 milioni di euro che viene oggi contestato dalla procura. Quel patrimonio che costituisc­e il capitale operativo dell’ex polare di Montebellu­na, al netto dei crediti deteriorat­i, è di appena 600 milioni di euro.

Troppo pochi per continuare a «fare banca» secondo il pm che, per questo, ha chiesto al tribunale fallimenta­re la dichiarazi­one dello stato di insolvenza. La decisione è attesa a luglio. Si è aperto così un nuovo filone d’indagine per De Bortoli che ha messo sotto gli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza che costituisc­ono il suo pool di investigat­ori, da poco potenziato di due unità, inviate dal comando di Venezia per supportare la procura trevigiana.

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Com’era Un’ex filiale di Veneto Banca

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