Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’epoca Fiorucci Il turbo pop tra moda e Warhol
Colori sgargianti, vitalità, frenesia, accostamenti arditi: Ca’ Pesaro celebra lo stilista scomparso tre anni fa. La collaborazione con Sottsass, Warhol, Haring e Basquiat Lo stile inconfondibile dei negozi che lo hanno reso famoso in tutto il mondo
Colori sgargianti e accostamenti improbabili. Una curiosità insaziabile. Una gioia irrefrenabile. Uno sberleffo alle convenzioni. E «tutta plastica», annotava Andy Warhol dopo la sua prima visita in un negozio di Elio Fiorucci: «È così divertente lì. È tutto quello che ho sempre voluto. E quando finiscono qualcosa non penso che lo ordinino di nuovo». E infatti ogni quindici giorni là si sfornavano altri capi ancora diversi. E poi «ci sono anche i ragazzi più carini», aggiungeva il patriarca della pop art.
Ecco il mondo di Elio Fiorucci (1935-2015): rutilante di idee, cromie, invenzioni, incontri. A celebrare una vera e propria «Epoca Fiorucci» c’ha pensato la Fondazione Musei Civici di Venezia, in collaborazione con Archivio Fiorucci, con una mostra che apre a Ca’ Pesaro il 23 giugno e si potrà visitare fino al 6 gennaio 2019. Gabriella Belli e Aldo Colonetti (assieme a Elisabetta Barisoni, Floria Fiorucci e Franco Marabelli) hanno provato a ricreare l’atmosfera dei suoi negozi che hanno segnato una stagione irripetibile.
«Dove iniziò la rivoluzione Fiorucci non è facile sapere – spiega la direttrice dei Civici, Gabriella Belli – Eccola affiorare metabolizzata negli outfit pieni di humour e allegria dei suoi negozi, occhieggiare con arditi contrasti di colore e di stile dalle vetrine, quei luoghi di felicità che ci pare addirittura riduttivo oggi chiamare negozi».
Tutto si svolge a Milano. Dopo aver preso in mano il negozio di pantofole dei genitori «nel 1962 si dirige alla redazione di Amica armato di tre paia di galosce di plastica colorata», racconta Maria Canella, docente di Storia della moda a Milano, nello smagliante catalogo edito da Mu-
seum Musei. Da quel gesto irriverente, la creatività di Fiorucci dispiega le ali, alimentata dalla brezza swing degli anni ‘60 che poi si sarebbe trasformata nella sfacciata tempesta rock dei ‘70. È la sua curiosità onnivora che lo porta a collaborare con architetti come Ettore Sottsass, Aldo Cibic, Michele De Lucchi; con artisti geniali come Warhol, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat; fotografi provocatori come Oliviero Toscani che ha firmato manifesti diventati iconici.
Il primo negozio di Fiorucci, in Galleria Passarella a Milano, disegnato da Amalia Del Ponte, rivoluziona l’anatomia della boutique e riscrive le relazioni tra spazio urbano, interior design, filiera della moda, pubblicità. Replica nel ‘76 sulla 59th Avenue di New York che diventa un luogo culto del fashion, della socialità e della cultura urbana. L’anno dopo è sempre Fiorucci a disegnare l’inaugurazione del celebre Club 54. Da lì in poi è un’onda che travolge il dress code come linguaggio sociale dei più giovani e si fa avvolgere dai sommovimenti che scuotono il mondo. Entra (e si fa attraversare) nel business degli anni ‘80 e il suo cataclisma yuppie e trash.
L’esposizione ricrea la forma dei suoi negozi e il travolgente ritmo cromatico con impresso il simbolo dei suoi cherubini turbo pop. Ma senza i dj live, la vegetazione lussureggiante, i profumi diffusi nell’ambiente, la frenesia stordente e la vitalità sexy del suo popolo, l’ambiente sembra trattenuto in un’archeologia del desiderio. Elio Fiorucci aleggia come una presenza tenera e muta.