Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
GIUSTIZIA, L’IMMANE SFIDA
«Siamo ad un passo dal blocco totale, siamo vicini alla paralisi»: con queste parole riportate ieri sui quotidiani, la Presidente della Corte d’Appello di Venezia ha pubblicamente descritto la situazione in cui versa la generalità degli Uffici Giudiziari della Regione, che, ancora una volta, attraverso la voce di coloro che a livello apicale hanno il compito di amministrare la giustizia ed organizzarne il servizio in Veneto, appare in tutta la sua catastrofica negatività. È poi particolarmente significativo e, per qualche verso, inquietante che ciò avvenga in un’occasione certamente positiva di collaborazione con gli organi regionali, i quali, come è lodevolmente già avvenuto in passato, hanno manifestato sensibilità e interesse per tali problemi, tanto da prestarsi alla sottoscrizione di tre protocolli d’intesa mirati ad offrire un qualche supporto alle carenze endemiche di personale amministrativo. Passano gli anni, cambiano i capi degli uffici, si rinnovano gli organi di governo autonomo della magistratura, si insediano nuovi governanti, ma il refrain non muta; restano cioè insolute le tre grandi questioni che impediscono un minimo decoroso adeguamento della risposta istituzionale alla domanda di giustizia di un Paese civile, con una durata ragionevole dei processi civili e penali, e tempi di accertamento delle responsabilità penali contenuti entro le soglie della prescrizione dei reati.
Esse sono, come è stato più volte non utilmente reclamato, di tipo strutturale e riguardano le inaccettabili carenze in materia di risorse disponibili quanto a magistrati, personale amministrativo e tecnici informatici operanti sul territorio. Si tratta, come è intuitivo, di tre componenti indissolubili del medesimo problema, le cui dirette interconnessioni impediscono che si possa pensare ad una loro soluzione separata. Ora, è vero che da più di un decennio ormai, a livello nazionale, si è perseguita la politica del carciofo, riducendo in misura inaudita con interventi dell’ordine di migliaia di unità l’organico del personale amministrativo addetto ai Tribunali alle Procure e alle Corti e impedendone il ricambio con il blocco dei concorsi e delle nuove assunzioni (fino almeno all’anno passato), ma è altrettanto indiscutibile che nessun distretto come quello di Venezia può vantare il triste primato di essere stato e di essere tutt’ora (nonostante i sempre modesti interventi migliorativi del biennio 2016-2017) il più bistrattato e dimenticato, con una previsione di organico di magistrati inferiore del 30/40 percento ,rispetto ad altri distretti del Nord, e in misura ancora maggiore rispetto alla generalità del Centro Sud, e con il proporzionale, correlato, sottodimensionamento del personale amministrativo. Clamoroso appare poi il rapporto di inferiorità in materia di risorse informatiche, laddove a Venezia, privata di un suo centro CISIA, risultano presenti operatori nella misura del 10% rispetto a quelli operanti in altri territori ampiamente più favoriti. La crisi economica che in questi anni ha impedito gli interventi necessari per ridare fiato alle istituzioni giudiziarie non avrebbe dovuto ostacolare, ma anzi avrebbe dovuto imporre, una razionalizzazione per un uso più equo delle ridotte risorse disponibili, ed una più accettabile loro distribuzione tra i vari distretti. Ciò non è stato colpevolmente fatto per molto tempo, ed oggi ci troviamo di fronte a nuove più drammatiche scadenze rappresentate dall’inevitabile invecchiamento e dai prossimi prevedibili pensionamenti, che nel giro di un paio di anni dovrebbero colpire più del 30 percento del personale aprendo così una nuova terribile voragine ( in assenza di turn over ) con prevedibili effetti esiziali su un sistema già oggi allo stremo. Il «Governo del Cambiamento» è quindi inevitabilmente chiamato a sostenere una sfida di immani proporzioni, e a meditare su una difficile opportunità, che si presenta però anche come una ineludibile necessità, di coniugare rilancio dell’occupazione e salvataggio del servizio Giustizia, con scelte di spesa pubblica, probabilmente criticabili (se erroneamente ritenute «non di investimento»), ma le sole idonee ad affrontare congiuntamente le emergenze sociali e quelle istituzionali.