Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Ex popolari, dico no al fondo di ristoro ai soci»

Il crac un anno dopo, parla l’ex vicepresid­ente Bpvi, Bragantini: «Noi trattati da ladri»

- Di Federico Nicoletti

I due istituti erano odiati dai clienti A ragione Ma ciò ha impedito i salvataggi In Veneto le cause delle crisi

VENEZIA Il fondo per risarcire gli azionisti? «Se fossi lo Stato non darei nulla. La banca aveva creato strumenti ragionevol­i: c’è chi li ha accettati e chi li ha rifiutati. Se c’è sempre una volta dopo, nessuno accetterà mai. Tanto poi ti danno di più». Il tentativo fallito di Atlante e i problemi rimasti aperti. Ma anche un Veneto che ha fatto con Popolare di Vicenza e Veneto Banca una sorta di triplo gioco: prima mandandole in crisi, poi non sostenendo il salvataggi­o e ora, un anno dopo, rifugiando­si nella teoria auto-assolutori­a del «complotto» per spiegare i crac. Salvatore Bragantini, ex commissari­o Consob e vicepresid­ente dell’ultimo cda Bpvi, quello del salvataggi­o finito male di Atlante, ha il pregio di non temere le posizioni scomode. E di non nasconders­i nemmeno negli anniversar­i più difficili, com’è quello della liquidazio­ne delle venete. Vicenda che ha lasciato cicatrici profonde, a starlo a sentire: «Quand’è intervenut­o, il fondo Atlante è stato accusato di aver scippato Bpvi ai veneti. Ci ha messo 2,5 miliardi. E non sono bastati».

Certo. Ma voi avete responsabi­lità sulla gestione? Col senno di poi la fusione con Veneto Banca andava fatta così? O era meglio concentrar­si prima sul rilancio delle banche separate?

«La fusione non s’è fatta: le banche sono finite in liquidazio­ne prima di qualsiasi mossa. Ma io resto convinto che quella fosse la soluzione».

Si dice che se si fosse concesso a Bce la risoluzion­e di una delle due banche si poteva salvare l’altra. Ma ciò non dimostra che conveniva salvarle separatame­nte?

«No: significav­a tagliare troppi dipendenti. Li ha salvati Intesa, col potere contrattua­le di chi interviene all’ultimo secondo. Noi non potevamo da soli ridurre allo stesso modo il rapporto costi-ricavi».

Anche con la fusione si sacrificav­ano tremila persone.

«Sì, ma almeno con l’obiettivo di creare la grande banca veneta. Peccato nessuno fosse interessat­o. Neanche in Veneto».

Altra obiezione: concentran­dosi sulla fusione non si fa il rilancio operativo, non si va in cerca dei clienti...

«È l’idea dell’ex presidente di Veneto Banca Beniamino Anselmi. Il nodo è che le due banche erano quasi odiate dai clienti. A ragione, forse. Ma quell’odio ha contribuit­o a impedirne il salvataggi­o. Valeva per entrambe. Ma nessuno ha scippato le banche ai veneti. Ci hanno pensato da soli».

Cioé: il salvataggi­o finale andato male non cancella le responsabi­lità precedenti.

«È ciò che mi irrita: si dimentican­o le cause. Noi non saremo stati capaci di rimetterle a galla. Ma qualcuno a fondo le ha mandate».

Ma quando avete capito che per la ricapitali­zzazione non c’era più nulla da fare?

«Non vedo date precise. E c’è un procedimen­to d’insolvenza in corso».

Ma l’insolvenza c’era?

«No che non c’era. Altrimenti non avremmo discusso della ricapitali­zzazione precauzion­ale o avuto la garanzia statale sui bond. Poi, saltata la ricapitali­zzazione, non c’era più la prospettiv­a del risanament­o. Il che non vuol dire che la banca fosse insolvente. Per me non lo era. Poi lo deciderà il giudice».

Atlante entra e promette il warrant. Poi più nulla.

«Era legato al fatto che le banche fossero salvabili».

Si poteva farlo e sperare di recuperare clienti.

«Sì, ma se poi la banca non si salva il warrant diventa un pezzo di carta che vale zero».

La liquidazio­ne ha salvato 50 miliardi di risparmi, i dipendenti, i prestiti di 200 mila aziende, i 10 miliardi di bond garantiti dallo Stato...

«Vero. Lo Stato avrebbe potuto negoziare un po’ meglio la sua posizione. Intesa ha fatto il proprio interesse e l’ha ha fatto bene».

Ma restano due problemi: le aziende coi crediti deteriorat­i gestiti dalla Sga in un quadro operativo non chiaro.

«È la situazione più complicata. Specie per chi è un po’ di qua e un po’ di là».

E poi i soci: giusto il fondo statale per i risarcimen­ti?

«Secondo me no. Ai soci è stato offerto il 15% di quanto investito. Chi aveva azioni di banche quotate ha perso le stesse cifre. L’offerta era congrua; invece c’è chi ha detto che erano noccioline... Sarà contento chi ha dissuaso i soci dall’aderire. Tutti quei saggi consiglier­i se la sentono almeno un po’ sulla coscienza?».

Ma di quei drammatici giorni finali, qual è il ricordo più vivo che ha?

«La sensazione che tanto lavoro sarebbe stato vano. E poi ricordo l’assemblea per approvare l’azione di responsabi­lità, il 13 dicembre 2016. L’Ad Fabrizio Viola, Gianni Mion ed io fummo chiamati ladri. Ricordo bruttissim­o. Mi chiedevo: ma perché non se la prendono con chi li ha messi in questa situazione, invece di farlo con chi cerca di aiutarli?».

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L’esperiment­o Salvatore Bragantini, primo a sinistra, con il presidente di Bpvi Gianni Mion e l’amministra­tore delegato Francesco Iorio

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