Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Campiello, i finalisti si raccontano tra sogni e visioni
Targhetta, Janeczek, Cavazzoni, Orecchio e Postorino raccontano al Fondaco dei Tedeschi i loro romanzi. Il presidente Zoppas: «Un tragitto verso la serata finale, sarà un giro d’Italia»
Si è svolto ieri al Fondaco dei Tedeschi a Venezia, il primo incontro tra i cinque finalisti del Premio Campiello, il concorso di letteratura italiana contemporanea promosso dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto. «Un’attività che noi imprenditori organizziamo da 56 anni: un lungo tragitto verso la serata finale attraverso un vero “giro d’Italia”, fatto di appuntamenti e incontri degli autori sul territorio, in cui una giuria popolare selezionerà il Campiello dell’anno. Con una novità: da quest’anno il Campiello Giovani verrà seguito direttamente dai giovani di Confindustria Veneto e nazionale», spiega Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto.
«Essere finalista al premio Campiello è per me una bella soddisfazione e una sorpresa: è il mio esordio in prosa, ed ero incerto sul risultato. I premi letterari sono un’occasione per dare visibilità a dei libri che altrimenti avrebbero difficoltà ad emergere» – commenta Francesco Targhetta, autore de Le vite potenziali (Mondadori) -. Dell’esperienza poetica porto con me la cura della parola e, forse ancora di più, lo sguardo verso le cose». Se il suo romanzo segue le peripezie di una generazione di trentacinquenni che, in una Marghera vista come «luogo di attriti e contrasti, dove l’archeologia industriale incontra l’immateriale della rete, vive un’esplosione di potenzialità», ciò che accomuna gli altri testi finalisti del Premio è il confrontarsi – spesso da una prospettiva straniante – con alcuni dei grandi snodi che hanno costellato il Secolo breve.
Così è la Rivoluzione
ad essere al centro del romanzo di Davide Orecchio, Mio padre la rivoluzione (Minumum Fax): «Un tema che mi accompagna fin dai miei studi universitari e su cui ho voluto ritornare attraverso le potenzialità offerte dalla letteratura: il giocare sulle possibilità – sul “what if” – come meccanismo generativo di storie – teso però ad indagare ciò che realmente è accaduto». La guerra civile spagnola è invece lo sfondo su cui si muove la vicenda della prima fotoreporter di guerra, Gerda Taro, compagna di Robert Capa, al centro del romanzo di Helena Janeczek, La ragazza con la Leica (Guanda): «Gerda rappresenta l’emblema di una generazione in cui il desiderio di lotta per un’Europa più giusta si sposa all’amore per la vita e per la libertà». Ad un’altra figura femminile che attraversa l’epoca nazista e il suo crepuscolo, è dedicato invece il romanzo di Rosella Pastorino, Le assaggiatrici (Feltrinelli): «Si tratta di un romanzo di invenzione che parte dalla testimonianza di Margot Wolk, unica sopravvissuta delle assaggiatrici di Hitler, ma poi diventa subito altro: uno sguardo sulla complessità dell’animo umano e sulla coesistenza nelle situazioni estreme di innocenza e colpa. Mi è sembrato di incontrare uno dei personaggi dei miei precedenti libri».
È un futuro distopico a fare invece da sfondo alla prosa vibrante di Ermanno Cavazzoni, autore de La galassia dei dementi (La nave di Teseo): «Si tratta del mio primo romanzo di fantascienza, un genere capace di reinventare il mondo: ho deciso di avventurarmi in questo campo che ha degli stereotipi forti – ma farci su un gioco parodico, un po’ come gli spaghetti western sul western. Così gli androidi sono tutti un po’ guasti e la demenza aliena e umana è la cifra che governa il mondo».