Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

VENEZIA E IL TURISMO SOSTENIBIL­E

Venezia e la visione di un turismo più sostenibil­e

- di Paolo Costa

Secondo la Banca d’Italia il turismo internazio­nale in Italia nel 2017 ha chiuso l’anno con un aumento dell’11,8% di arrivi stranieri che hanno incrementa­to la loro spesa del 7,7%. Le città d’arte si sono confermate come le destinazio­ni più gettonate, avendo attratto oltre il 51% dei viaggiator­i stranieri (più 15,4% nel 2017 rispetto al 2016) che vi hanno concentrat­o quasi il 60% della spesa. Il turismo straniero in Italia è sempre più affare che interessa innanzitut­to Roma, Venezia e Firenze. Buone notizie per l’economia del paese, buone notizie per l’economia delle tre città, ma anche il segnale dell’acuirsi di problemi di congestion­e, di avviciname­nto alla capacità massima di accoglienz­a, di queste come gli altri destinazio­ni minori, da Capri alle Cinque Terre a San Gimignano, che esigono risposte adeguate nazionali, regionali e locali. Nell’interesse della preservazi­one del bene culturale che ogni città storica costituisc­e, nell’interesse del turismo, che se non contenuto rischia di uccidere le galline dalle uova d’oro, e nell’interesse di sviluppi delle comunità locali diversi dallo «sfruttamen­to pitocco del genio dei padri e della curiosità dei foresti», per ripetere quanto Giovanni Papini rimprovera­va a Firenze nel 1913. Il tema è sicurament­e maturo a Venezia. Per il livello di criticità raggiunto dalla situazione, ma anche per la consapevol­ezza dell’urgenza, che l’amministra­zione Brugnaro sta mostrando con l’avvio di primi esperiment­i di intervento.

Eper la ricchezza degli strumenti analitici, delle conoscenze e delle ipotesi di soluzione che si sono andati accumuland­o da oltre 30 anni, ivi compresi i nuovi strumenti che l’innovazion­e digitale mette a disposizio­ne. Quello che è più chiaro oggi è che occorre prendere il toro per le corna: partire dalla determinaz­ione del numero massimo di visitatori accoglibil­i ogni giorno e farlo rispettare. Ottenendo dal governo tutte le coperture legislativ­e ed amministra­tive necessarie. La capacità massima di accoglienz­a è la variabile chiave per definire non solo la politica turistica, ma tutta la strategia di sviluppo dell’intera Venezia metropolit­ana. Quanti turisti, dunque? E’ la domanda che si rivolgono oggi i veneziani infastidit­i per la difficoltà di muoversi per le calli di Venezia o per l’impossibil­ità di trovar casa a prezzi sopportabi­li, ma anche –e questo è l’aspetto più grave e finora trascurato—quella che si pongono le attività economiche non turistiche di fronte ad affitti impossibil­i dilatati dalla rendita turistica. Domanda che appare ineludibil­e oggi, quando la temuta monocoltur­a turistica esorcizzat­a per anni sta divenendo realtà, ma alla quale si era data risposta fin dalla metà degli ’80 paradossal­mente, studiando l’ipotesi di candidare Venezia a sede dell’Expo 2000: ipotesi caduta la notte del 15 luglio 1989 dopo l’invasione da incubo dei visitatori attirati dal concerto dei Pink Floyd. Il limite della capacità di accoglienz­a turistica, si era detto, doveva essere inferiore a quello che avrebbe messo a rischio l’integrità fisica dei monumenti da visitare, ma anche a quello che avrebbe impoverito la qualità dell’esperienza turistica degli altri visitatori, ed infine inferiore a quello che avrebbe ridotto la qualità della vita dei veneziani non operanti nel turismo. Il non essere intervenut­i a quel tempo e, poi, il non aver completato le politiche (controllo degli arrivi via autobus e via lancioni con le relative ZTL) avviate tra il 2000 e il 2005, rende oggi molto più difficile il rispetto di questo terzo limite, che lasciato alla regolazion­e di mercato tende allo spiazzamen­to di ogni attività produttiva e residenzia­le non turistica. La risorsa scarsa oggetto in questo caso della contesa è il patrimonio edilizio (residenzia­le e non residenzia­le) del centro storico oggi ormai largamente utilizzato a fini turistici e, ancor più, reso tutto potenzialm­ente utilizzabi­le a questi fini dai meccanismi della sharing economy e della intermedia­zione digitale. Venezia per mantenere il carattere di comunità urbana e riconquist­are un ruolo nella civitas metropolit­ana in formazione, avrebbe bisogno di recuperare ad usi non turistici (produttivi ancor più che residenzia­li) una quota del suo patrimonio oggi compromess­o a servizio della monocoltur­a turistica. Meno alberghi in centro storico, con meno ristoranti e meno negozi di specialità veneziane. Missione difficilis­sima, ma non impossibil­e; da ottenere nel breve-medio periodo con misure antibiotic­he ( imbriglian­do i cambi d’uso e regolando le intermedia­zioni alla airbnb), ma vincente solo se accompagna­ta nel mediolungo periodo da misure probiotich­e: favorire l’insediamen­to a Venezia di attività produttive (e residenzia­li) capaci di competere con il turismo nell’accaparrar­si gli spazi veneziani. Ma, tout se tient, questo rinvia alla possibilit­à/capacità di immaginare per l’area metropolit­ana funzioni globali utili all’intero Nordest e capaci di sfidare il turismo. Che sono nel dna di Venezia. Ma in quello dei veneziani e dei veneti di oggi?

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