Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Maniero si è voluto vendicare Tante imprecisioni, ma è credibile»
La sentenza di condanna al cognato: «Comprò la casa con una valigia piena di soldi»
VENEZIA Le dichiarazioni con cui Felice Maniero ha accusato l’ex cognato Riccardo Di Cicco di aver gestito il suo «tesoro» di 33 miliardi di lire per oltre trent’anni non sono state spontanee. «Non può non evidenziarsene l’aspetto di rivalsa», scrive il gup Massimo Vicinanza nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato a 4 anni e 10 mesi proprio il 62enne dentista, toscano di Fucecchio, con l’accusa di riciclaggio con l’aggravante mafiosa. «Lo scopo era di punire chi egli riteneva reo di non aver rispettato un patto (illecito)», continua il giudice, aggiungendo che quelle dichiarazioni vanno «attentamente valutate». E poi: «Ci sono valide ragioni per ritenere tali dichiarazioni imprecise, non interamente riscontrabili, ma non certo completamente inattendibili».
Ed ecco spiegato perché il magistrato, delle varie piste indicate dall’ex boss della mala del Brenta, ha creduto solo a quelle sostenute da tracce concrete: gli 11 miliardi consegnati nel 1995 «in uno scatolone», portato in Toscana dalla madre di «Felicetto», Lucia Carrain, e dal fido Giuliano Materazzo. e poi – per sua stessa ammissione – investiti dal cognato (grazie all’aiuto del broker Michele Brotini, che è ancora sotto processo) in Svizzera, dove i finanzieri hanno trovato numerose tracce dei conti correnti; e poi la casa di Santa Croce d’Arno, acquistata con 160 milioni di lire nel 1989, quando Di Cicco aveva da poco iniziato a fare il dentista e non poteva certo disporre di una somma simile, né tanto meno dei 400 milioni (stimati da un perito, ma contestati dalla difesa) per i restauri seguenti, per trasformarla in una casa – parole di Giulio Maniero – «da mille e una notte». Le fiamme gialle avevano anche sentito il venditore, che ha riferito che Di Cicco diede l’acconto di 80 milioni portando all’incontro «una valigia piena di soldi»: idem per il saldo. Per quest’ultima imputazione, però, anche a volerlo allungare fino al 1997 (fine dei restauri), sono passati più di 18 anni e il reato è dunque prescritto.
Per il giudice invece non ci sono prove sugli oltre venti miliardi che Maniero avrebbe dato a Di Cicco negli anni ’80, tranne appunto la casa: «Sono operazioni di difficile ricostruzione», scrive. Anche se non nasconde che qualcosa c’è stato, visto che Di Cicco per anni ha fatto una vita «quasi da milionario» (parlando in euro), tra auto di lusso, cavalli da corsa, Rolex e orologi di marca, buona parte trovati al momento dell’arresto del 17 gennaio 2017. La tesi dell’enorme evasione fiscale, che peraltro una recente legge ha escluso dalle possibili spiegazioni, non regge, secondo il gup. Così come il fatto che è difficile pensare che Maniero abbia affidato gli 11 miliardi del 1995 senza averne prima«testato l’affidabilità».
Quanto all’aggravante mafiosa, per il giudice tiene, in quanto il riciclaggio inizia quando la mala «è ancora operativa». Il giudice ha poi disposto il sequestro, oltre che di vari beni di Di Cicco (tra cui due immobili), di 2 milioni di euro di Maniero, il quale aveva dichiarato che il cognato negli anni gli aveva restituito «5/6 miliardi».