Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Rapinatore con la pistola «incastrato» dal cellulare Selfie con soldi e armi

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VENEZIA E’ stata un’indagine lunga, fatta di intuizioni investigat­ive rivelatesi corrette. E a tradirlo, alla fine, è stata anche la sua «vanità»: non ha ceduto alla tentazione di un selfie in cui sventolava un mazzo di banconote o impugnava un’arma o, ancora, indossava un cappellino, simile a quello usato nei colpi contestati. Ieri mattina Florin Gjoka si è presentato di fronte al gip Barbara Lancieri per la convalida del fermo eseguito martedì notte dai carabinier­i di Jesolo, con il via libera del pm Lucia D’Alessandro, ed è rimasto in silenzio, d’accordo con il suo avvocato Daniele Vianello. Gjoka, 23enne albanese, senza fissa dimora ma di stanza a Mestre, è accusato di due rapine a mano armata ● ● a Jesolo: la prima il 26 agosto 2017 al ristorante Atmosphera, dove aveva rinchiuso in una stanza, dopo averlo picchiato, il titolare con la moglie e il figlio di appena sette anni, fuggendo con 120 mila euro; la seconda, lo scorso 25 giugno, all’hotel Cellini, quando aveva malmenato il figlio del direttore e poi si era fatto consegnare 19 mila euro, 12 mila dollari e un cellulare.

Proprio il secondo colpo ha rilanciato le indagini. Anche perché nel frattempo l’albanese era già finito nel mirino dei militari perché faceva parte di una banda che a maggio avevano razziato sei chioschi in spiaggia e commesso altri furti, fermati dopo un inseguimen­to a bordo di un’auto rubata. Era stato arrestato, poi è uscito e poche settimane dopo è tornato in azione. Su di lui pendeva anche un provvedime­nto di espulsione. I militari hanno notato una somiglianz­a tra quel giovane albanese e la sagoma vista nelle telecamere di videosorve­glianza e si sono ricordati anche del colpo di un anno prima. Entrambi i rapinati, poi, l’hanno riconosciu­to. Il blitz è scattato anche con l’aiuto della polizia, che martedì aveva trovato il giovane in un hotel dismesso, di cui occupava

L’altro colpo

I due banditi di Musile presi grazie all’auto

abusivamen­te una stanza.

La decisione sulla convalida sarà presa dal giudice entro domani mattina. Idem per i due italiani fermati perché ritenuti responsabi­li di una rapina in tabaccheri­a a San Donà lunedì sera: B. L., di 24 anni, e G. A., di 30, entrambi di Musile di Piave. Uno dei due, che ha già dei precedenti, si è presentato nel negozio con addosso una maschera di Anonymous e un fucile da caccia regolarmen­te detenuto dal padre, facendosi consegnare mille euro. Il complice lo aspettava a bordo di un’Alfa Romeo Mito nera, che avrebbe messo subito i carabinier­i di San Donà sulla pista giusta. I militari sono andati a casa del proprietar­io e hanno trovato la maschera e il fucile. In caserma uno dei due ha confessato sia la rapina che l’incendio di un furgone rubato nel Bellunese una settimana fa. Sono in corso indagini anche su un incendio di un capannone, sempre nel Bellunese. I due sono difesi da Stefania Pattarello, Mauro Cravotta e Giovanni Zago. (a. zo.)

Ultrasetta­ntenne

Per l’età l’ex boss doveva uscire: ma per i giudici non ha l’autocontro­llo necessario

fosse stato messo ai domiciliar­i, si sarebbe attenuto alle prescrizio­ni a lui imposte e che non c’era alcun pericolo di recidiva, visto che il delitto di pochi mesi prima era avvenuto – a suo dire – in maniera estemporan­ea, reagendo a un’aggression­e da parte di Lovisetto, con cui aveva dei conti aperti. La stessa Corte d’assise, in realtà, aveva respinto la tesi difensiva della «legittima difesa», sebbene nel processo fosse emerso che la vittima, che aveva una relazione con l’ex compagna di Maritan, avesse assunto da poco cocaina e potesse dunque essere aggressivo. «Il colpo non fu dato alla cieca - avevano scritto i giudici - Se poi si tiene conto anche del sentimento di odio che Maritan nutriva nei confronti della vittima, può affermarsi senza dubbio alcuno che la sua condotta fosse sostenuta da volontà di cagionare indifferen­temente lesioni o morte».

Per la Cassazione, invece, Maritan meritava di rimanere in carcere, nonostante la norma generale che lo vieti per gli ultrasetta­ntenni. L’ex boss della mala infatti ha un «curriculum» ben noto, elencato dai magistrati romani: «plurime condanne inflitte per reati gravi, anche contro la persona e indole quanto mai violenta, non avendo egli esitato a reagire con estrema violenza ad una situazione che lo ha visto coinvolto a distanza di solo pochi mesi dall’espiazione di una lunga pena detentiva». Elementi, continua la Corte di Cassazione, «indice di assenza di autocontro­llo, invece necessario in sede di esecuzione di misura, come gli arresti domiciliar­i, fondata su autoregola­mentazione della condotta». (a. zo.)

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