Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Caso Sissy, gli undici dubbi del «giallo»

La famiglia non accetta la tesi del tentato suicidio e si oppone all’archiviazi­one

- Zorzi

VENEZIA Dall’arma al cellulare, dai contatti alle impronte digitali, e non solo. La ricerca della verità è in undici dubbi e ventuno domande. Sono passati quasi due anni da quando Maria Teresa Trovato Mazza è stata trovata quasi esanime in uno degli ascensori del padiglione Jona. Ma la famiglia della giovane poliziotta penitenzia­ria, per tutti «Sissy», non accetta che la procura liquidi tutto come tentato omicidio e ha presentato un lungo atto di opposizion­e all’archiviazi­one.

VENEZIA La ricerca della verità è in undici dubbi e ventuno domande. Sono passati quasi due anni da quando Maria Teresa Trovato Mazza è stata trovata quasi esanime in uno degli ascensori del padiglione Jona, dove stava svolgendo un servizio. Era l’1 novembre 2016 e la giovane poliziotta penitenzia­ria di origini calabresi, che per tutti era «Sissy», doveva controllar­e una detenuta che aveva appena partorito. Poco prima delle 11.20, però, lo sparo e Sissy viene trovata in un lago di sangue dentro l’ascensore, ferita alla testa. Fin da subito la polizia e la procura ipotizzano il tentato suicidio: Sissy non è morta, anche se da allora non si è mai svegliata e proprio un mese fa ha lasciato la struttura lombarda in cui stava per tornare nella sua Taurianova. Ma la famiglia non ci crede e si aggrappa a ogni dettaglio. Ora questi dettagli li ha messi in fila uno dietro l’altro l’avvocato Fabio Anselmo nell’atto con cui, per conto della famiglia, si è opposto alla richiesta di archiviazi­one del caso sollevando 21 richieste di integrazio­ne probatoria: il pm Elisabetta Spigarelli, che aveva ereditato il fascicolo per istigazion­e al suicidio, ha infatti ritenuto che, al termine di un’indagine durata un anno, non ci fossero elementi per dare una versione alternativ­a a quella che Sissy si sia sparata alla testa con la propria pistola di ordinanza.

Secondo i parenti, però, non è tutto chiaro, a partire proprio dalla pistola. Nell’ipotesi che Sissy si sia sparata con la canna appoggiata alla testa, non si capisce come mai sull’arma siano state trovate pochissime tracce di sangue e solo sul lato destro del carrello, ma nessuna nella «volata», cioè la parte terminale. Non sarebbe poi stata fatta, a loro dire, una verifica approfondi­ta sul foro del proiettile, che se sparato così da vicino avrebbe dovuto creare una «lacerazion­e stellata». Esame peraltro che doveva essere fatto subito, visto che poi Sissy è stata sottoposta a un intervento chirurgico al capo. Non risulta agli atti che sia stato fatto alcun esame del Dna sull’arma, ma ci sono soprattutt­o due aspetti strani: il primo è l’assenza di impronte digitali sull’arma, visto che Sissy quel giorno non portava i guanti; l’altro è che sia rimasta stretta nella mano destra della donna. Sulle impronte la polizia scientific­a ha sostenuto che non sia una cosa anomala per un’arma con l’impugnatur­a zigrinata. La famiglia invece dice che la ragazza l’avrebbe toccata più volte per prenderla dall’armeria, metterla in fondina, tirarla fuori e scarroccia­re per il colpo. «E’ sorprenden­te questa assenza di impronte», commenta l’avvocato Anselmo, secondo il quale, inoltre, è quasi impossibil­e che la poliziotta, vista la grave ferita in testa, abbia potuto tenere in mano la pistola.

Anche perché c’è un altro «giallo»: nessuno ha sentito niente, mentre l’ascensore avrebbe dovuto creare un rimbombo. La famiglia ha visionato tutte le immagini delle telecamere agli atti e c’è solo un infermiere che, alle 11.17.37, sembra fare un movimento del capo come attirato da qualcosa. E per questo viene chiesto di identifica­rlo e interrogar­lo. L’ipotesi non scritta è che in realtà sia stato qualcun altro a spararle, forse con qualcosa che facesse da silenziato­re, che poi ha ripulito la pistola e gliel’ha messa in mano, anche se resta l’inverosimi­glianza di un killer sparito poi nel nulla. Proprio su questo punto però il legale fa un’altra contestazi­one, ovvero che siano state fatte le verifiche solo sull’ingresso principale dello Jona. Ma nel padiglione ci sarebbero almeno altri tre ingressi: due laterali, un terzo con il nuovo corridoio sopraeleva­to. «Bisogna verificare la possibilit­à di allontanam­ento di un’eventuale persona che prima abbia avuto un contatto con la Trovato Mazza», dice la memoria.

C’è poi, secondo la famiglia, la necessità di approfondi­re meglio i contatti che Sissy ebbe quella mattina e il «giallo» del cellulare. Il telefono di Sissy fu infatti trovato nel suo armadietto (che era aperto) due giorni dopo, ma dai video pare che mentre si aggira per l’ospedale abbia in mano qualcosa. Un cellulare? Di chi? E se fosse il suo, chi l’ha riportato nell’armadietto? Per questo si chiede anche di acquisire il traffico delle celle, che potrebbe essere utile anche per identifica­re eventuali persone sospette. C’è infine la richiesta di analizzare il suo pc.

Al computer aveva infatti accesso anche un’altra collega, che con Sissy aveva rapporti burrascosi. «Mi ha di nuovo graffiato e messo le mani al collo, mentre stavamo discutendo», scrive la donna in un messaggio Whatsapp a un’amica. La famiglia chiede che siano fatte verifiche su questa collega, che peraltro dopo la tragedia avrebbe chiesto del cellulare di Sissy e avrebbe avuto dei contatti con una terza persona che chiedere «un video sui luoghi e sull’ascensore». Sullo sfondo ci sono i richiami che Sissy aveva ricevuto e quella denuncia da lei fatta che in carcere alla Giudecca circolasse droga.

Cellulare Il telefono della donna è stato trovato nel suo armadio

Mister X Un uomo avrebbe chiesto a una poliziotta un video dei luoghi

Le liti con l’amica

Mi ha di nuovo graffiato e mi ha messo le mani al collo mentre stavamo discutendo

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