Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Di Maio? Più fatti, meno slogan»
Il presidente Bonomo: «Il decreto dignità non mi piace. Ora voglio vedere la manovra»
«Non giudico un Esecutivo dopo 100 giorni – dice Agostino Bonomo- è giusto dar loro più tempo perché la società è complessa ed è complesso governarla. Ma non mi piacciono le analisi da 140 caratteri». Il leader di Confartigianato Veneto replica così all’intervista di Luigi Di Maio al Corriere. «Il decreto dignità? Non mi piace. Ora voglio vedere la manovra».
«Di Maio vuol tornare tra le aziende, visitare i capannoni, incontrare gli imprenditori? Felice di risparmiargli la fatica: invece di un tour estenuante, specie qui al Nord, perché non dialoga con le associazioni di categoria? Io rappresento 60 mila artigiani, abbiamo sedi in tutto il Veneto, 30 solo a Vicenza, che registrano 14.873 contatti al giorno. Come un medico in corsia, misuriamo mattina e sera la febbre alle Pmi. Chi può riferire il loro stato di salute al vicepremier meglio di noi?».
A che punto è il termometro dei rapporti col Governo?
«Non giudico un Esecutivo dopo cento giorni – dice Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato Veneto - è giusto dar loro più tempo perché la società è complessa ed è complesso governarla, non mi piacciono le analisi da 140 caratteri. Però si possono giudicare i singoli provvedimenti: bene la risoluzione del caso Ilva, che si trascinava da anni, malissimo il decreto Dignità, che di dignitoso non ha nulla».
Perché? «Ci aspettavamo incentivi per la stabilizzazione, hanno preferito norme punitive ispirate da una deriva ideologica vecchia di vent’anni, che vede nel datore di lavoro uno sfruttatore senza pietà. Non è così. Noi artigiani, in particolare, lavoriamo fianco a fianco con le nostre maestranze. Un’assunzione è un giorno di festa, un licenziamento uno di lutto».
Per Di Maio le imprese che realmente investono sul lavoro non avranno problemi.
«Il lavoro non si crea per decreto ma con condizioni favorevoli alla crescita. Il decreto Dignità, temo lo riveleranno già i dati di settembre, fa assumere meno persone e crea più precarietà. Se voglio evitarmi problemi giuslavoristici, invece che infilarmi nel ginepraio delle giustificazioni mi conviene interrompere il rapporto, attendere 10 giorni e assumere un’altra persona».
Il vicepremier ha promesso che abbasserà il costo del lavoro. Gli crede?
«Mi deve dire come, perché io non l’ho capito. L’obiettivo è lodevole, figuriamoci, come la flat tax o la riduzione dell’Ires, ma siamo al balletto degli slogan e manca sempre la risposta alla domanda fondamentale: dove si trovano i soldi? Aspettiamo il Governo al varco della manovra, quando sarà tutto nero su bianco».
Sembra scettico.
«Sono cauto, perché se per fare il reddito di cittadinanza fanno saltare le pensioni o per fare la flat tax tagliano la sanità, nessuno può dirsi felice. Le faccio un esempio pratico. La flat tax con l’innalzamento dei minimi da 35 a 65 mila euro è una buona idea: toglie sovrastrutture burocratiche, incentiva l’autoimprenditorialità, favorisce le start-up. Ma quali saranno le aliquote? Non si sa. E ancora: Di Maio dice che sarà finanziata anche rivedendo le agevolazioni, come quelle di cui godono gli autotrasportatori sul carburante. Ma così si ammazza il settore, lasciando campo libero ai concorrenti dell’Est. O gli incentivi per le ristrutturazioni e l’efficientamento energetico: fanno bene a tutti, agli artigiani, ai proprietari, al Fisco, ai Comuni. Toglierli sarebbe una pazzia, eppure ogni anno è una battaglia riconfermarli».
È a favore della pace fiscale? «La battaglia al sommerso è giusta e va continuata ma se ripensiamo agli anni Ottanta è già stata in larga parte vinta. Se si parte con nuovo regime fiscale questa “pace” può essere il punto-e-a-capo da cui ripartire. Non dimentichiamo che molti contenziosi derivano dall’eccesso di burocrazia, i cavilli sono diventati un modo per fare cassa».
Anche su questo Di Maio si dice pronto a cambiare marcia.
«Bene, anche qui vedremo. Inizi dal Codice degli appalti, nato con le migliori intenzioni e finito in un disastro. Si voleva combattere la corruzione e si è finito per incentivarla perché ora le gare sono talmente complicate che qualcuno potrebbe essere tentato di “oliarle” per andare avanti».
Vi attendete chiarezza anche sulle infrastrutture?
«Certo. Nonostante quel che dice Toninelli, la Pedemontana è realtà, se si tornasse indietro, ci sarebbe l’insurrezione. Per la Tav passa lo sviluppo del triangolo industriale Venezia-Milano-Bologna, che traina l’Italia. E poi serve la banda larga, che conta ormai più delle strade».
Un’ultima domanda sulle ex popolari. L’urto è stato assorbito?
«Ormai siamo ad uno stato di disperazione avanzata, alla rassegnazione. Sui ristori, anche qui, finora solo annunci. Ma ormai non sono neanche più i rimborsi il problema, va combattuta la stretta creditizia che è seguita al crack».
Nessuno può dirsi felice a priori Sono cauto perché se per fare la flat tax tagliano la sanità o per fare il reddito di cittadinanza tagliano le pensioni nessuno può dirsi felice