Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LA GUERRA CHE CAMBIÒ IL MONDO
Uno degli aforismi più celebri di Oscar Wilde evoca come «la memoria sia il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé». Indro Montanelli, voce contro corrente della prima Repubblica e ora da tutti straordinariamente citato, saggiamente aveva scritto che «il Paese che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente». Per uno Stato laico le commemorazioni hanno lo stesso valore dei compleanni, sono un momento e un modo per guardare al percorso compiuto nel tentativo di rintracciare la strada che porta al futuro, in una commistione di identità ed aspirazioni. Si scrive Prima Guerra Mondiale, ma si dovrebbe leggere «il conflitto che ha cambiato il Mondo», una cicatrice profonda – a livello umano, ma anche sociale, culturale, politica, giuridica ed economica – che ha inesorabilmente segnato una fase decisiva della transizione del mondo Occidentale da una società monoclasse verso la società di massa, con la strutturazione di interessi e bisogni collettivi ed una statualità che doveva cominciare a rispondere a queste richieste. Una tragedia che ha scritto pagine indelebili nella Storia di un’Italia che all’epoca era poco più di una identificazione geografica e che proprio grazie a quella commistione di sangue e fango nelle trincee ha cominciato a sentirsi Nazione. Soprattutto ha segnato un territorio, quello Veneto, in cui – tendiamo a dimenticarlo – è stato consumato il più alto numero di vittime.
Un territorio in cui fiumi e montagne portano ancora oggi il rosso del sangue dei caduti. Il Monte Grappa, l’Altopiano di Asiago, Passo Buole – il cui soprannome le Termopili d’Italia evocativamente rimembra l’enorme sacrificio e l’eroismo dei soldati italiani – sono oggi amene località turistiche, ma anche simbolo del nostro passato prossimo, in cui obelischi, lapidi o stele permettono di aggiungere e riscoprire quei tasselli fondamentali per la memoria delle vecchie e delle nuove generazioni. Non è un caso come la Grande Guerra significativamente rappresenti un trapasso fondamentale, avendo imposto nuove ideologie e nuovi nazionalismi al Novecento. Un cammino attraverso il passato che, ripercorrendo la tragedia della guerra, non deve essere unicamente memorialistica, ma può anche intravvedere, a cento anni di distanza, una nuova e più struttura idea di Europa, che non sia solamente mercati e finanza e che venga percepita come strumento di pace e di benessere. In una Regione come la nostra, in cui ogni Comune conosce una lapide in memoria dei propri caduti, un percorso culturale con cui riappropriarsi del proprio passato, in tutte le sue forme, inevitabilmente diventa un passo essenziale per valorizzare il proprio patrimonio storico, offrendo una chiave di lettura della cultura che guardi contestualmente anche allo sviluppo pedagogico, sociale e turistico. Senza proporre innovative e maldestre interpretazioni di quanto è accaduto, ma nella più spontanea speranza di poter ritrovare in luoghi in cui crudeltà e miseria si sono consumate, alla ricerca di quei valori di fratellanza ed amicizia che là erano stati brutalmente seppelliti.