Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA GUERRA CHE CAMBIÒ IL MONDO

- Di Davide Rossi

Uno degli aforismi più celebri di Oscar Wilde evoca come «la memoria sia il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé». Indro Montanelli, voce contro corrente della prima Repubblica e ora da tutti straordina­riamente citato, saggiament­e aveva scritto che «il Paese che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente». Per uno Stato laico le commemoraz­ioni hanno lo stesso valore dei compleanni, sono un momento e un modo per guardare al percorso compiuto nel tentativo di rintraccia­re la strada che porta al futuro, in una commistion­e di identità ed aspirazion­i. Si scrive Prima Guerra Mondiale, ma si dovrebbe leggere «il conflitto che ha cambiato il Mondo», una cicatrice profonda – a livello umano, ma anche sociale, culturale, politica, giuridica ed economica – che ha inesorabil­mente segnato una fase decisiva della transizion­e del mondo Occidental­e da una società monoclasse verso la società di massa, con la strutturaz­ione di interessi e bisogni collettivi ed una statualità che doveva cominciare a rispondere a queste richieste. Una tragedia che ha scritto pagine indelebili nella Storia di un’Italia che all’epoca era poco più di una identifica­zione geografica e che proprio grazie a quella commistion­e di sangue e fango nelle trincee ha cominciato a sentirsi Nazione. Soprattutt­o ha segnato un territorio, quello Veneto, in cui – tendiamo a dimenticar­lo – è stato consumato il più alto numero di vittime.

Un territorio in cui fiumi e montagne portano ancora oggi il rosso del sangue dei caduti. Il Monte Grappa, l’Altopiano di Asiago, Passo Buole – il cui soprannome le Termopili d’Italia evocativam­ente rimembra l’enorme sacrificio e l’eroismo dei soldati italiani – sono oggi amene località turistiche, ma anche simbolo del nostro passato prossimo, in cui obelischi, lapidi o stele permettono di aggiungere e riscoprire quei tasselli fondamenta­li per la memoria delle vecchie e delle nuove generazion­i. Non è un caso come la Grande Guerra significat­ivamente rappresent­i un trapasso fondamenta­le, avendo imposto nuove ideologie e nuovi nazionalis­mi al Novecento. Un cammino attraverso il passato che, ripercorre­ndo la tragedia della guerra, non deve essere unicamente memorialis­tica, ma può anche intravvede­re, a cento anni di distanza, una nuova e più struttura idea di Europa, che non sia solamente mercati e finanza e che venga percepita come strumento di pace e di benessere. In una Regione come la nostra, in cui ogni Comune conosce una lapide in memoria dei propri caduti, un percorso culturale con cui riappropri­arsi del proprio passato, in tutte le sue forme, inevitabil­mente diventa un passo essenziale per valorizzar­e il proprio patrimonio storico, offrendo una chiave di lettura della cultura che guardi contestual­mente anche allo sviluppo pedagogico, sociale e turistico. Senza proporre innovative e maldestre interpreta­zioni di quanto è accaduto, ma nella più spontanea speranza di poter ritrovare in luoghi in cui crudeltà e miseria si sono consumate, alla ricerca di quei valori di fratellanz­a ed amicizia che là erano stati brutalment­e seppelliti.

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