Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Veneto dichiarato «terra di pace» Il vescovo: basta slogan pericolosi

Grande Guerra, la Regione firma la legge. Il ministro: «La mediazione è civiltà»

- Alessandro Macciò

PADOVA Il 3 novembre 1918 fece da cornice all’armistizio tra l’Italia e l’impero austrounga­rico che di fatto pose fine alla prima guerra mondiale. E ieri la Regione ha scelto proprio Villa Giusti, alle porte di Padova, per dichiarare il Veneto «terra di pace» con una legge che rimarca «l’alto valore simbolico conferito al territorio veneto dalle testimonia­nze storiche della Grande Guerra».

La firma è solo il primo passo: la dichiarazi­one sottoscrit­ta davanti al ministro agli Affari regionali Erika Stefani dai sette Comuni capoluogo, dall’Anci del Veneto, dalle quattro Università del Veneto e dalla Conferenza Episcopale del Triveneto infatti impegna la Regione a operare per garantire il rispetto del diritto alla pace, a diffondere un messaggio di pace e di fratellanz­a tra le genti, a promuovere percorsi di cittadinan­za democratic­a e diritti umani nelle scuole, a favorire una cultura politica fondata sui principi di pace e cooperazio­ne tra i popoli.

«Il ricordo della Grande Guerra è ancora vivo - dice Cristiano Corazzari, assessore regionale al Territorio -. Nel fango delle trincee si è formata una nostra sofferta unità di Paese e si sono conosciuti i soldati di tutte le regioni. La guerra è una tragedia costruita intorno a dei disvalori, ma per noi deve rappresent­are l’esaltazion­e dei valori che hanno portato alla costruzion­e della pace». A spiegare il senso della dichiarazi­one è Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale: «Il Veneto fu l’unica regione italiana dove la Grande Guerra fu combattuta dal primo all’ultimo giorno, investendo non solo i campi di battaglia ma anche le pianure e le città, chiamate ad accogliere profughi e feriti. Padova fu il centro della logistica sanitaria con 170 mila feriti ospitati negli oltre 14 mila posti letto e oltre 1.300 studenti della facoltà di Medicina chiamati a prestare la loro preziosa opera».

«La cultura della mediazione non è facile - osserva il ministro Erika Stefani -. È più facile dichiarare guerra e litigare che firmare accordi e trovare compromess­i. Ma l’accordo è la risoluzion­e della controvers­ia ed è quello che dobbiamo elaborare nella nostra cultura civile». Gli spunti sono numerosi. Per Sergio Giordani, sindaco di Padova, pace «non è solo assenza di guerra ma anche giustizia sociale, rispetto dei diritti umani, rifiuto di ogni violenza e prevaricaz­ione». Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova, ricorda che la pace «è un processo quotidiano, è garantire a tutti i cittadini la libertà e i diritti, è un impegno di cultura a cui tutti siamo chiamati».

Il messaggio inviato dal vescovo di Padova don Claudio Cipolla ricorda invece che il desiderio di pace «può essere coperto dal bisogno di trovare un nemico a cui attribuire la causa delle proprie difficoltà, può essere soppiantat­o da una spinta alla conflittua­lità permanente, può sparire in processi di continua segmentazi­one e disgregazi­one sociale. Il desiderio di pace può essere annacquato da un’indifferen­za che non si accorge del male che viene seminato dalle parole violente, dagli slogan volgari, dalle generalizz­azioni su categorie di persone, fino a rendere quasi accettabil­i socialment­e pensieri e gesti che pensavamo spariti per sempre dall’orizzonte della nostra civiltà». Come a dire che l’impegno c’è ma la strada è ancora lunga.

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(Bergamasch­i) A Villa Giusti Il ministro Erika Stefani (al centro) con i sindaci, il vescovo di Padova Claudio Cipolla e il rettore dell’Università, Rosario Rizzuto

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