Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Permessi negati alle donne: multate 35 pmi
L’Ispettorato: regole violate. Gap gender sempre alto, ma qualcosa si muove: specie in sanità
L’Ispettorato del lavoro ha multato nell’ultimo anno 35 aziende che hanno negato i permessi alle donne. Il gap gender degli stipendi resta alto ma si riduce, specie in sanità.
Hai fatto un figlio? Zero permessi per uscire prima dal lavoro, nessun congedo per accudirlo, giorni di riposo banditi e se pretendi di stare a casa con lui scordati pure l’indennità. Di aziende venete che hanno trattato così neo mamme e neo papà al loro servizio l’ispettorato del lavoro ne ha beccate 35.
Questo succede in gran parte tra un ufficio e l’altro del terziario: 27 imprese che operano in questo settore hanno dovuto rendere conto di violazioni della normativa a tutela della genitorialità. Quasi quattro su cinque. Tre edili, una agricola e quattro appartenenti al settore industriale hanno preso il resto. Una tirata d’orecchie arrivata con l’attività di intelligence di Regione, ispettorato interregionale e consigliera di parità Sandra Miotto. Ieri, a Venezia, ha siglato una nuova intesa sulla parità nel lavoro assieme all’assessore regionale Elena Donazzan e il capo dell’ispettorato Stefano Marconi. Tra le tre istituzioni si rafforzerà così lo scambio di segnalazioni, «soprattutto quelle relative alle dimissioni femminili o alle risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri o alle discriminazioni nel luogo di lavoro - specifica Marconi -, poi c’è pure la formazione delle aziende e la collaborazione con i sindacati».
Anche il primo vademecum per destreggiarsi tra le norme che tutelano mamme e papà che lavorano. Soprattutto mamme. Perché non è che in questo siamo messi così bene, nonostante in Veneto lavorino quasi tre donna su cinque, il 10% in più rispetto al resto d’Italia. Basti pensare che nella nostra regione le dimissioni «volontarie» delle donne, nell’ultimo anno, sono il 60% del totale. Ma anche al fatto che una dirigente veneta guadagna in media oltre 50 mila euro (lordi) in meno l’anno rispetto al dirigente del sesso opposto. Guadagnano poco e sono poche: dirigenti e quadri veneti donne sono tre su dieci a Belluno, così come a Padova e Venezia. Va ancora peggio alle colleghe rodigine, meno di una su cinque. Eppure a scendere di posizione di donne ce ne sono a volontà: nel report 2017 della consigliera (1.047 le aziende venete prese in esame), nella sanità e nell’assistenza sociale le donne sono 74 su 100, nell’istruzione uguale, nella pubblica amministrazione poco meno, nel turismo 68,5%, nel commercio 63%. Per non parlare dell’egemonia di infermiere e ausiliarie: sono quattro su cinque. Le donne vincono anche contro gli impiegati maschi e il loro 47,5% di presenze dietro la scrivania.
«Però qualcosa si muove» ha avvertito Miotto riferendosi alle posizioni apicali delle donne in crescita nelle grandi aziende della nostra regione. Il 5,2% in più certo è poco, ma contribuisce a colmare il divario. E non è il solo segnale rincuorante se pensiamo al 12% di donne medico in più rispetto al 2016. Un dato singolare, perché è l’unica professione che in Veneto si scontra con la perdita di uomini al comando, lasciando spazio all’ascesa femminile. Partita a sé per i camici bianchi anche in busta paga: la distanza tra stipendi c’è, ma per i dottori ai vertici si ferma a mila euro in più l’anno, sempre lordi, rispetto a quello delle colleghe. «La presenza femminile in tutti i settori, e lo dice più di una ricerca europea - continua la consigliera -, induce a produrre di più e a fallire di meno. Così calerebbe anche la povertà, data dal part time, che porta a pensioni basse». E a guardare gli ultimi dati sul lavoro a tempo parziale c’è da mettersi le mani nei capelli: fino al 2016 quasi 9 lavoratori su 10 a metà tempo sono donne. «Per questo vigileremo sui datori che violano le norme avverte Donazzan -, prima consigli, poi avvertimenti e in presenza di colpa grave scatteranno nuovi provvedimenti».