Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Papà Pellissier e il piccolo Matteo «Il gol? Gliel’avevo promesso»

Dopo l’abbraccio in campo, che ha fatto il giro del web, abbiamo incontrato Sergio Pellissier e suo figlio Matteo. Il bomber-papà: «Gli avevo promesso quel gol». Ritratto di famiglia tra vita, sport e futuro

- Matteo Sorio

VERONA . Sergio Pellissier, 39enne capitano del Chievo e suo figlio Matteo, 8 anni, raccattapa­lle. Domenica l’abbraccio a bordo campo che ha commosso il web. «Quando facevo panchina lui non voleva più venire a vedermi — ci ha detto l’attaccante —. Ma gliel’avevo promesso: segno e ti abbraccio»

VERONA Tra le tante cose belle di quell’abbraccio c’è che parte da lontano. Da uno di quei momenti in cui i figli ti spiazzano. Perché, privi come sono di sovrastrut­ture, ti sbattono davanti un’emozione basilare, pura, talmente semplice da farti quasi male.

«C’è stato un momento nel passato recente in cui Matteo pativa più di me il fatto che non giocassi. Gli dispiaceva talmente tanto da sentire la rabbia dentro. Finché un giorno mi ha detto: “Papà, non voglio più venire allo stadio”. Rifletto sempre su quello che mi dicono lui, Sofia e Filippo, ci ho pensato su e mi è parso giusto risponderg­li così: “Se non vuoi più venire perché non ti piace, va bene. Ma se non vuoi più venire perché non gioco allora no, non devi reagire così. Mai mollare, crederci sempre. Se lo fai vedrai che un giorno gioco, faccio gol e ci abbraccere­mo in campo”». La rincorsa verso quell’abbraccio di cinque giorni fa, dopo il gol alla Lazio, il capitano del Chievo Sergio Pellissier — attaccante — e il suo Matteo — raccattapa­lle — l’hanno presa così. Se ne parla ancora, di quell’abbraccio, perché a scene così semplici il calcio pare non esserci più abituato. Se ne parla con i due Pellissier della foto che ha fatto il giro del web: Sergio, 39 anni, e Matteo, 8, dentro il bar del centro sportivo Bottagisio, casa del vivaio e della scuola calcio dove Matteo si allena («Vorrei giocare anch’io nel Chievo come papà»). Se ne parla tra tifosi che ringrazian­o Sergio («Che gol, alla Lazio…») e un altro storico volto clivense, Luciano, ieri ala e oggi allenatore nelle giovanili, che prende in braccio Matteo scombinand­ogli i capelli: «Oh, ora sei famoso, eh...». Famosa, in questi giorni, è diventata di sicuro la foto di quell’abbraccio.

«Forse perché – fa Pellissier – è un calcio spesso un po’ troppo finto e costruito, quando invece tantissimi calciatori sono genitori come gli altri. Il giorno dopo la Lazio, fatalità, ho incontrato una persona che dava di scherma e si è ricordata di aver portato il figlio a bordo pedana per festeggiar­e insieme una vittoria. Alla fine, sotto varie forme, noi padri cerchiamo tutti la stessa emozione». I padri cercano emozioni ma a volte

Con i figli non è facile: io ascolto sempre lui e i fratelli Sofia e Filippo e provo a trasmetter­gli i valori. Certo che ora, nel calcio come nella vita, i giovani ribattono...

Maglia azzurra

«Una partita in premio? Mah, non è più la mia Nazionale, ora ci sono i giovani...»

fanno fatica. Di papà Sergio, Matteo dice che «vorrei giocare in corridoio ma lui non vuole». Lui, papà Sergio, replica che «quando torno a casa sono distrutto, ho bisogno di staccare dal calcio, e comunque Matteo tende molto di più alla consolle». Ecco, i videogioch­i. «Lo schieravo nella mia formazione», racconta Matteo prima d’imbronciar­si: «Ma ora mi vieta i videogame». Eterna grana. «La tecnologia spesso li spinge a mollare tutto o addirittur­a inventarsi scuse per rincasare e attaccarsi ai joystick – riflette Pellissier – io tendo a responsabi­lizzarli. Poi, se è il caso, passo ai divieti. Altrimenti rischia di diventare un vizio come il gioco d’azzardo». Qualche attrito minore sul cibo (Matteo chiede una tavoletta di cioccolato, Sergio gli propone un panino) dà lo spunto per chiedere del Sergio Pellissier figlio di Camillo, nonno di Matteo.

«Se insegno cose considerat­e retrò come l’educazione è perché i miei genitori non mi lasciavano sgarrare: rispettare

il prossimo, ringraziar­lo quando è gentile con te, mettersi nei suoi panni». I panni del calciatore, Matteo, chissà se vorrà o saprà indossarli. «A lui piacciono i dribbling, è una generazion­e cresciuta vedendo “rabone” e colpi di tacco, tutte baggianate che se provi nel mondo vero sbagli nove volte su dieci, a meno di non chiamarti Cristiano Ronaldo». Non è preoccupat­o, comunque, papà Sergio: «Matteo è libero di scegliere. Ora come ora non ce lo vedo: non è come me che giocavo 24 ore su 24 con la palla. Conta che si diverta. A qualche partita ci vado ma mi guardo bene dal fare come certi genitori troppo invasivi». E si guarda bene dal sognare un’ultima chiamata in Nazionale dopo la prima e unica nel 2009, Pellissier, come suggerisco­no sul web alcuni lettori del Corriere di Verona-Corriere del Veneto: «La Nazionale di oggi non è la mia. Questa Nazionale vuol far crescere i giovani quando invece dovrebbe badare a schierare i più forti. È come in campionato: il campione non si crea così, deve fare esperienza, solo a un Totti non serve gavetta. Vorrei che Matteo, dovesse fare il calciatore, trovasse un calcio diverso. Nel mio, nessuno ti aiutava e proprio perché un giorno avresti preso il posto dei più vecchi venivi sgridato. Ora i giovani sono così sicuri di sé che non ascoltano. Come del resto i figli. Gli dici: è così. E loro ribattono».

Lì, del resto, Matteo ribatte: «Non è vero...». Sergio: «Ecco, cosa ti dicevo…». Si diceva di quell’abbraccio dopo il gol alla Lazio. «Eh, niente. All’inizio ho sfogato la rabbia, nell’esultare. Poi, uscito dall’abbraccio dei compagni, mi sono ricordato di Matteo e di quella promessa. E l’ho cercato con lo sguardo…».

A me piacerebbe fare il calciatore come papà, giocare come lui nel Chievo: alla playstatio­n lo metto sempre titolare nella mia formazione però lui adesso mi vieta i videogame

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 ?? L’abbraccio ?? Sergio Pellissier e il figlio Matteo dopo il gol alla Lazio: sopra padre e figlio testa a testa con il pallone (Fotoland)
L’abbraccio Sergio Pellissier e il figlio Matteo dopo il gol alla Lazio: sopra padre e figlio testa a testa con il pallone (Fotoland)

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