Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

PROFUGHI, IL PREZZO PAGATO

- di Stefano Allievi

Affrontare la questione immigrazio­ne sull’onda dell’emergenza è una follia, produce danni, e ha dei costi (sociali, prima ancora che economici) enormi.

Nel periodo 2014-2016 l’emergenza c’è stata sul serio: quella degli sbarchi. Arrivi imprevisti, via mare soprattutt­o, di immigrati irregolari, in percentual­i mai viste prima. C’era dunque, effettivam­ente, un fatto eccezional­e da gestire. Ma è stato fatto male, senza collaboraz­ione tra diversi livelli di responsabi­lità, senza fiducia tra istituzion­i, e senza una vera strategia almeno di medio termine.

Il meccanismo era il seguente. Gli immigrati irregolari sbarcavano o venivano salvati nel Mediterran­eo (da missioni ufficiali europee e nazionali, non dalle ONG, per un significat­ivo periodo). Lo Stato non sapeva dove metterli, e li smistava sui territori. I territori, in particolar­e nel Nordest, si rifiutavan­o di collaborar­e. Ai prefetti veniva allora dato mandato di imporre una soluzione purchessia. Che veniva trovata affidando il lavoro di accoglienz­a (che, lo ricordiamo, di principio avrebbe dovuto fare lo Stato) a soggetti del privatosoc­iale (quando andava bene) o a soggetti economici che lavoravano a scopo di lucro, talvolta anche con metodi discutibil­i (quando andava male, e accadeva spesso). Date le premesse, il risultato non poteva che essere fallimenta­re.

Chi ha pagato il fallimento? Tutti.

La prima fila dei servitori dello Stato, in primo luogo: prefetti, vice-prefetti, funzionari, sottoposti a una pressione qualche volta indebita dall’alto, che a loro volta rivolgevan­o in basso – trovando in poche ore soluzioni provvisori­e che diventavan­o definitive, inventando­si luoghi di accoglienz­a impropri (pensiamo alle caserme) e quindi con politiche di integrazio­ne (parola grossa: per lo più non c’erano) inefficaci.

Oggi diversi di loro sono indagati: qualche volta con posizioni non chiare, in altri casi per aver fatto il proprio ordinario dovere in condizioni straordina­rie.

Gli operatori dell’accoglienz­a: se non altro perché il lavoro talvolta sporco ma assai redditizio di alcuni ha finito per riverberar­si sull’immagine di tutti, incluso di chi non aveva che un modestissi­mo margine e molte difficoltà perché l’integrazio­ne, tra mille ostacoli e opposizion­i, cercava di farla sul serio. I cittadini: che hanno sostenuto la non collaboraz­ione dei loro sindaci nell’illusione che risolvesse i problemi, che invece si sono manifestat­i sui loro territori in termini di integrazio­ne non avvenuta, e quindi di maggiore insicurezz­a.

Gli immigrati stessi: che, comparativ­amente, hanno ricevuto servizi (conoscenza della lingua, della cultura, formazione profession­ale) in maniera incomparab­ilmente inferiore rispetto ai loro colleghi finiti in altri paesi europei, ciò che ha reso più difficile il loro inseriment­o.

Il prezzo finale l’ha poi pagato la politica: o meglio chi ha promosso quella politica. Che ha finito per essere sostituito da una nuova classe politica di segno opposto, che molto ha beneficiat­o, in termini di supporto dell’opinione pubblica e di voti, proprio da politiche emergenzia­li gestite nella maniera sbagliata (quando sono arrivate quelle giuste, come gli Sprar, la rete di accoglienz­a degli enti locali) era probabilme­nte troppo tardi). Il problema è che la nuova classe politica persevera nell’errore, e continua ad affrontare la questione in maniera emergenzia­le, anche oggi che l’emergenza, numericame­nte, non c’è più: in qualche modo producendo­la. Con normative che non producono integrazio­ne, o producono dis-integrazio­ne (con lo svuotament­o degli Sprar e l’allargamen­to delle altre forme di accoglienz­a, ad esempio). E anche con gli sbarchi, dalla Diciotti alla Sea Watch, si continua così. A livello europeo, per giunta. Si va avanti caso per caso. Sarebbe come se, invece di avere un sistema sanitario con le sue ordinarie routine, di fronte a ogni singolo malato, o a una stagionale pandemia influenzal­e, noi decidessim­o caso per caso quale ospedale attivare, dove inviare le medicine, chi incaricare della cura.

Purtroppo, la morale da trarre è una triste lezione anche sul nostro paese. Non collaborat­ivo, incapace di fare rete, rancoroso, scaricabar­ile, privo di pianificaz­ione e di strategia. Non un bel quadro: purtroppo, realistico.

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