Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’amarezza di Zappalorto e le confidenze agli amici: ho combattuto il marcio
Il prefetto di Venezia è provato e convinto della sua innocenza
VENEZIA Come faccio ad andar a parlare ai ragazzi nelle scuole di legalità se sono indagato con l’accusa di associazione a delinquere, si è sfogato con gli amici e i più stretti collaboratori. Chi lo conosce bene lo descrive come un uomo profondamente provato e incredulo di quanto successo. Mai Vittorio Zappalorto, oggi prefetto di Venezia, negli anni scorsi di Gorizia e di Udine, avrebbe pensato di finire in una simile indagine, ancor meno per il Cara di Gradisca dove è riuscito a estromettere la Connecting People che gestiva il centro accumulando una serie di contestazioni e penali (nonostante un’inchiesta già in corso che aveva paralizzato il lavoro della prefettura).
Era arrivato a Gorizia a gennaio del 2014 quando c’era già stato il rinvio a giudizio di tredici persone fra dirigenti e dipendenti della cooperativa trapanese e due funzionari della prefettura per reato di falso materiale e ideologico in atti pubblico. Proprio per questo la gestione dei migranti era abbandonata a sé stessa: i pagamenti al gestore non venivano più fatti, chiunque si rifiutava di firmare atti che riguardassero il centro per evitare di finire nell’inchiesta. «Non possiamo aver paura di agire, le indagini servono per togliere il marcio, i lavoratori hanno bisogno di essere pagati e gli ospiti di essere assistiti con dignità», aveva detto ai funzionari cercando di invertire la tendenza assumendo qualche mese dopo anche la carica di commissario straordinario del Comune di Venezia. I pagamenti sono ripresi, seppur applicando una trattenuta a scopo cautelativo visto le indagini in corso, ma la situazione non migliorava. Prima le proteste dei migranti, poi dei dipendenti che non venivano pagati, fino alla decisione di arrivare alla risoluzione consensuale del contratto cercando di evitare qualsiasi contenzioso e cambiare gestore. E’ proprio questo su cui punta l’ex prefetto di Gorizia nella sua difesa: ho incentivato i controlli, abbiamo fatto continue contestazioni, sono state applicate penali, ho fatto di tutto per mandare via il Consorzio, ho evitato il verificarsi di una situazione che poteva sfociare in problemi umanitari e di ordine pubblico e adesso vengo accusato anche di omessa denuncia, ha confessato amaramente in questi giorni ai più stretti collaboratori Zappalorto. Ci sono voluti oltre sei mesi di trattative infatti per arrivare a un accordo consensuale con la Connecting People con tanto di passaggio di cinquanta dipendenti su 52 ai nuovi gestori (altra condizione che aveva «imposto» la prefettura). «Ora ci sono i presupposti per un centro governativo che funzioni a dovere, la cooperativa non ce la faceva più, questo accordo è stato raggiunto dopo un anno di lavoro duro e fatto sottotraccia», commentava il prefetto ai media dopo l’intesa raggiunta. Anche perché tutta la trattativa è stata portata avanti assieme all’Avvocatura e al ministero dell’Interno che ha partecipato anche alla stesura finale dell’accordo con il completo disinteresse del territorio.
Il problema però era un sistema di accoglienza che scaricava tutto sui prefetti. Zappalorto infatti è solo l’ultimo di una sfilza di funzionari dello Stato indagati per la gestione dei profughi. Già una quarantina figurano in indagini simili, costretti a farsi carico di una situazione ingestibile, con decine se non centinaia di migranti in arrivo ogni giorno a cui trovare una collocazione senza l’aiuto degli enti locali. Proprio per questo l’accusa di associazione a delinquere è arrivata nei giorni scorsi a Zappalorto come un pugno sullo stomaco. Ho sempre fatto del rispetto della legalità e della trasparenza le caratteristiche della mia azione come servitore dello Stato sono convinto che la magistratura appurerà la mia estraneità ai fatti, ripete da giorni a chi gli sta vicino. Ma teme che l’impatto mediatico comprometta il rapporto di fiducia con la città, che aveva costruito.