Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Bpvi, il tribunale spiazza i liquidator­i «Hanno rinunciato alle baciate»

La valutazion­e nella sentenza sull’insolvenza. Commissari in attesa delle regole

- Federico Nicoletti

VICENZA Bpvi, il tribunale spiazza i commissari liquidator­i sulle «baciate». Dunque Banca popolare di Vicenza era insolvente alla data di messa in liquidazio­ne, il 25 giugno 2017, per 3,3 miliardi. È la conclusion­e a cui sono arrivati i giudici della prima sezione civile del tribunale di Vicenza (Giuseppe Limitone, presidente relatore, Giulio Borrella e Luca Ricci) nella sentenza del 21 dicembre depositata mercoledì, che apre, sul fronte penale, la possibilit­à d’indagare anche per bancarotta.

Oltre alle valutazion­i storiche di un crollo epocale («una banca, che è anche un po’ salvadanai­o, viene percepita come insolvente prima di tutto nel cuore della gente che vi ripone la sua fiducia - si legge nella sentenza - e questo è accaduto con Bpvi»), la sentenza fissa due principi, allineando­si a quanto già stabilito nella parallela decisione di Treviso (ora in appello a Venezia) su Veneto Banca.

Facendo proprie le conclusion­i della consulenza tecnica affidata a Bruno Inzitari, la sentenza fissa che d’insolvenza si deve discutere di una società in liquidazio­ne e non più in continuità, perduta due giorni prima, il 23 giugno, quando Bce aveva dichiarato la prossimità al dissesto e il cda di Bpvi stabilito la perdita della continuità. C’era stato, per Inzitari, un «crash di continuità». Fatto rilevante per l’inchiesta penale, perché salva da eventuali responsabi­lità l’ultimo cda di Atlante, per andare invece in cerca a ritroso, nell’epoca dei cda guidati da Gianni Zonin, le cause distrattiv­e, basi dell’insolvenza.

L’altro principio fissato (pur se la conclusion­e è che la banca sarebbe risultata comunque insolvente) è che il contributo dello Stato a Intesa - 2,4 miliardi a Vicenza - per cedere le attività sane, va messo sul conto. Interpreta­zione che i giudici non approfondi­scono più di tanto (il punto spinoso è se il contributo scatti con il contratto di cessione a Intesa, primo atto dei liquidator­i, e quindi dopo la liquidazio­ne) allineando­si alla perizia di Inzitari, secondo cui in sostanza va considerat­o come sbilancio patrimonia­le perché «è il valore effettivo attribuito da parte del mercato» alla banca per farsene carico.

In attesa di veder materializ­zarsi i ricorsi in appello già annunciati dalla parte di Zonin, c’è poi una terza novità, incidental­mente nella sentenza, sulle «baciate», i finanziame­nti concessi per acquistare azioni. I giudici la sollevano entro le valutazion­i sul reale valore patrimonia­le al momento della liquidazio­ne, degli «evanescent­i crediti deteriorat­i». Le baciate ne sono un esempio. Il valore delle azioni dissolto, scrivono i giudici, «va ad elidere la possibilit­à di recuperare crediti per finanziame­nti in favore di soggetti compratori di azioni con operazioni baciate, che eccepirann­o in giudizio la compensazi­one con il valore delle azioni acquistate in contesti negoziali caratteriz­zati da nullità». E cioé è fatale che i titolari di «baciate» chiederann­o in una causa la nullità del prestito per acquistare azioni azzerate in valore, visto che il codice civile vieta il finanziame­nto delle azioni. E oltretutto, sostengono i giudici, il Testo unico bancario deroga al divieto della compensazi­one tra dare e avere, se la contestazi­one è avanzata prima della liquidazio­ne. «Sicché la compensazi­one - scrivono i giudici - dovrà operare quanto meno per le cause già pendenti (e probabilme­nte anche per le richieste con semplice diffida)». Parole di non poco conto, se in qualche modo anticipano il giudizio sulle cause in corso a Vicenza.

In più la sentenza appoggia la valutazion­e dei crediti «baciati» come quasi già persi all’attività dei commissari liquidator­i e a una loro relazione del 25 gennaio 2018: «I commissari - si legge nella sentenza - nell’incertezza della spettanza di tali ipotetici crediti della Lca, hanno già rinunciato, sia pure provvisori­amente, ad esigerli, per complessiv­i 1.086 milioni».

La situazione sul campo, da quel che si capisce, in realtà è più complicata. I commissari liquidator­i non avrebbero fatto scattare alcuna rinuncia generalizz­ata alla restituzio­ne delle «baciate». E avrebbero invece da tempo chiesto al ministero dell’Economia un confronto sulla linea operativa da tenere. Da definire in un vertice tra ministero, Bankitalia, liquidazio­ni e Sga dato per imminente. Da cui dovrebbero uscire le regole di comportame­nto almeno sui tipi principali di «baciate». Il tema è spinoso e sospeso tra due estremi. La rinuncia tout court alle «baciate» significhe­rebbe per lo Stato, e gli altri creditori, veder sfumare in principio il rientro di 1,3 miliardi di crediti nominali. In un’operazione da mettere a confronto con il rimborso del 30% riconosciu­to ai soci in Finanziari­a. In un quadro che legalmente è un vero campo minato, perché se è pacifico che il capitale finanziato è nullo per il patrimonio di vigilanza, altrettant­o la questione non lo è sul piano della giurisprud­enza e della prassi in campo civile.

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