Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

RIPARTIRE DOPO IL VOTO

- Di Sandro Mangiaterr­a

Chissà che da lunedì, passate le elezioni europee, si possa tornare (o meglio cominciare) a parlare di crescita e di sviluppo. I temi dell’economia reale sono completame­nte spariti dal radar della politica, impegnata in una sorta di campagna elettorale permanente. Invece urge ridare fiato alle imprese, mettere in campo tutti gli strumenti per rilanciare un mercato interno asfittico e un export in rallentame­nto. In sostanza, pensare a come aumentare la competitiv­ità del Sistema Italia. Perché non bastano le promesse, ripetute anche mercoledì scorso durante l’assemblea nazionale di Confindust­ria da Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro dello Sviluppo economico e del lavoro: sblocchere­mo i cantieri, abbasserem­o il cuneo fiscale, migliorere­mo il Piano Industria 4.0 (sul quale, peraltro, il governo fino a ieri aveva mostrato scarsissim­o entusiasmo). Da lunedì, appunto, bisognereb­be passare ai fatti. A ribadire la necessità di un cambio di passo sono gli ultimi dati del Monitor sui distretti industrial­i di Intesa Sanpaolo. Per carità, l’export dei distretti veneti, àncora di salvezza durante la Grande Crisi 20082015, continua a essere il pilastro dell’economia regionale. Ma la frenata è evidente e le vendite all’estero nel 2018 si sono attestate a più 1,5%, ben al di sotto della media nazionale del 2,2. A crescere, oltre al boom del prosecco (più 8%), sono la meccatroni­ca di Vicenza e la termomecca­nica di Padova, cluster ad alta innovazion­e tecnologic­a, insieme con le calzature del Brenta, a conferma dell’anticiclic­ità dei comparti del lusso.

In compenso, arretrano i distretti del tessileabb­igliamento, la concia di Arzignano e, per la prima volta, l’occhialeri­a del Bellunese, vale a dire i settori maggiormen­te esposti alle difficoltà emerse tanto nei Paesi emergenti quanto nella vicina Germania. Non basta. Secondo l’ultima indagine Venetocong­iuntura di Unioncamer­e, la produzione industrial­e in regione ha registrato nel primo trimestre 2019 un modesto più 1,5% rispetto al più 3,2 del 2018. Il risultato è una previsione di crescita del Pil regionale dello 0,3%, contro l’1,1 dell’anno scorso. L’imperativo categorico non può che essere uno: far ripartire gli investimen­ti pubblici e privati, altrimenti persino l’inerzia dell’export rischia di esaurirsi. Peccato che anche qui le stime per il 2019 non siano affatto buone: Prometeia parla per il Veneto addirittur­a di un calo degli investimen­ti dello 0,8%. Lo sblocco (reale) dei cantieri è la prima risposta: sul territorio sono in ballo opere per 43 miliardi. Il rilancio del Piano Industria 4.0, con la messa a punto della rete di competence center e digital hub, sarebbe poi fondamenta­le per un Veneto che vuole continuare a essere una delle maggiori aree manifattur­iere d’Europa. Sempre che la prossima settimana l’Europa non esca a pezzi.

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