Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
RIPARTIRE DOPO IL VOTO
Chissà che da lunedì, passate le elezioni europee, si possa tornare (o meglio cominciare) a parlare di crescita e di sviluppo. I temi dell’economia reale sono completamente spariti dal radar della politica, impegnata in una sorta di campagna elettorale permanente. Invece urge ridare fiato alle imprese, mettere in campo tutti gli strumenti per rilanciare un mercato interno asfittico e un export in rallentamento. In sostanza, pensare a come aumentare la competitività del Sistema Italia. Perché non bastano le promesse, ripetute anche mercoledì scorso durante l’assemblea nazionale di Confindustria da Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro dello Sviluppo economico e del lavoro: sbloccheremo i cantieri, abbasseremo il cuneo fiscale, miglioreremo il Piano Industria 4.0 (sul quale, peraltro, il governo fino a ieri aveva mostrato scarsissimo entusiasmo). Da lunedì, appunto, bisognerebbe passare ai fatti. A ribadire la necessità di un cambio di passo sono gli ultimi dati del Monitor sui distretti industriali di Intesa Sanpaolo. Per carità, l’export dei distretti veneti, àncora di salvezza durante la Grande Crisi 20082015, continua a essere il pilastro dell’economia regionale. Ma la frenata è evidente e le vendite all’estero nel 2018 si sono attestate a più 1,5%, ben al di sotto della media nazionale del 2,2. A crescere, oltre al boom del prosecco (più 8%), sono la meccatronica di Vicenza e la termomeccanica di Padova, cluster ad alta innovazione tecnologica, insieme con le calzature del Brenta, a conferma dell’anticiclicità dei comparti del lusso.
In compenso, arretrano i distretti del tessileabbigliamento, la concia di Arzignano e, per la prima volta, l’occhialeria del Bellunese, vale a dire i settori maggiormente esposti alle difficoltà emerse tanto nei Paesi emergenti quanto nella vicina Germania. Non basta. Secondo l’ultima indagine Venetocongiuntura di Unioncamere, la produzione industriale in regione ha registrato nel primo trimestre 2019 un modesto più 1,5% rispetto al più 3,2 del 2018. Il risultato è una previsione di crescita del Pil regionale dello 0,3%, contro l’1,1 dell’anno scorso. L’imperativo categorico non può che essere uno: far ripartire gli investimenti pubblici e privati, altrimenti persino l’inerzia dell’export rischia di esaurirsi. Peccato che anche qui le stime per il 2019 non siano affatto buone: Prometeia parla per il Veneto addirittura di un calo degli investimenti dello 0,8%. Lo sblocco (reale) dei cantieri è la prima risposta: sul territorio sono in ballo opere per 43 miliardi. Il rilancio del Piano Industria 4.0, con la messa a punto della rete di competence center e digital hub, sarebbe poi fondamentale per un Veneto che vuole continuare a essere una delle maggiori aree manifatturiere d’Europa. Sempre che la prossima settimana l’Europa non esca a pezzi.