Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«L'isola innocente» Il pamphlet fiabesco di Antonio Russello
Ripubblicato il romanzo di Antonio Russello: un racconto fantasmagorico Riscoperte Edito nel 1969, affronta il contrasto tra realtà e innocenza
"Un amabile pamphlet, una colorita e leggera invettiva contro le Accademie e i parrucconi di ieri e di oggi
Pubblichiamo la postfazione di Matteo Collura a «L’isola innocente. “Storia” di Giangiacomo e Giambattista» di Antonio Russello, recentemente riedito da Santi Quaranta (13 euro). Il testo apparve sul «Corriere della Sera» del 15 marzo 2003.
La casa editrice Santi Quaranta di Treviso ripropone un romanzo che quando uscì, nel 1969, non ebbe dalla critica l’attenzione che meritava. Non ne ebbe neanche l’anno dopo, quando Giangiacomo e Giambattista – questo il titolo del romanzo pubblicato dal libraio editore palermitano Fausto Flaccovio – giunse finalista al premio Campiello, vinto poi da Mario Soldati. Ora l’editrice trevigiana si augura che Antonio Russello, l’autore di questo splendido, sorprendente romanzo, pubblicato con un nuovo titolo (L’isola innocente) venga riscoperto. Fa bene; e gliene siamo francamente grati, perché questo libro, opera di uno scrittore che non conoscevamo (nonostante, apprendiamo, La luna si mangia i morti nel 1960 fu pubblicato da Vittorini nelle edizioni Mondadori) ci ha regalato una delle letture più piacevoli e stuzzicanti che a un lettore di professione può capitare di fare.
Un racconto, fantasioso, leggero, fantasmagorico, questo di Antonio Russello, siciliano di nascita, emigrato in Veneto, dove ha insegnato lettere italiane a Treviso e nella Marca trevigiana, e morto a Castelfranco Veneto il 26 maggio 2001. Sfolgorante nello stile, L’isola innocente racconta di due intellettuali del XVIII secolo, uno svizzero l’altro italiano, i quali danno vita a una serie di avventure che, se proprio vogliamo riferirci a dei precedenti, possiamo approssimativamente collocare – e
senza esagerare – tra il Candido di Voltaire e Lazarillo de Tormes, passando per Laurence Sterne e Carlo Emilio Gadda.
Giangiacomo, che di cognome fa Gibard (ginevrino), può benissimo alludere a Rousseau, mentre Giambattista (napoletano) può benissimo essere Vico. Ma i due personaggi reggono bene anche senza questi speculari accostamenti; e sta in questa diversa possibilità di lettura (quella colta e quella più godibilmente favolistica, terra terra) il pregio maggiore di questo sorprendente romanzo che si situa eccentricamente nel panorama della tradizione siciliana, alla quale invece Antonio Russello sembra avere più direttamente attinto in altre sue opere.
Costruito un suo piccolo regno «corsaro» su una nave realizzata in una terra priva di mare e governata da una «banda» di ragazzini un po’ sciuscià un po’ Peter Pan, grazie alla distrazione di un piccione viaggiatore, Giangiacomo Gibard entra in contatto con un suo collega precettore, il napoletano Giambattista Grieco. Ed è un incontroscontro su due diversi modi di educare, d’interpretare la storia e i segni della realtà, mentre l’innocenza dei ragazzini illumina ogni cosa con giusto stupore e buon senso.
Il romanzo è un continuo scoppiettio di sentenze tra il colto e il popolare («”Mangio” disse il Tellière, spostando un alfiere “come mangiavano gli Spagnoli in Italia”. Il Lumière disse: “E come mangiavano i Francesi, e ora mangiano gli Austriaci; l’asse dell’Europa è in mano a queste tre potenze, così c’è l’equilibrio”»); ed è anche un amabile pamphlet, una colorita e leggera invettiva contro le Accademie e i parrucconi di ieri e di oggi.
Ed è anche un modo di spiegare il mondo, apparen
temente ai più piccoli, con la semplicità e l’accortezza di un prestigiatore della parola («Ricordò che quand’era ragazzo, studiava su una carta geografica tappezzata di tanti colori, e quanti colori c’erano, così tanti confini come siepi. Gialla la siepe dello Stato dei Savoia, rossa la siepe del ducato di Milano, viola quella della Repubblica di Venezia, grigio il granducato di Toscana, come dentro un orto ci sono i pomodori rossi, i peperoni gialli, le lattughe verdi»).
Impagabile il napoletano in cui Giambattista e sua moglie si esprimono («E tu arricuorditi, e tu arricuorditi»). Finisce sul patibolo uno dei due protagonisti, la Rivoluzione francese ormai prossima. Non diciamo chi per non sciupare la sorpresa e chiudiamo con il rammarico di non avere parlato di questo libro mentre il suo autore era in vita. Ma così è la letteratura: una serie infinita di riconoscimenti postumi, di ingiuste graduatorie fomentate dai cantori e cultori del nulla di cui siamo tutti vittime e, nel nostro caso, anche involontari complici.