Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Richard Powers un premio Pulitzer a Cortina d’Ampezzo

Il romanziere statuniten­se ospite domani a «Una montagna di libri» L’autore de «Il sussurro del mondo» tra gli alberi devastati dalla tempesta «Ne sento l’odore. È buono. Ma fa male»

- Chiamulera

«Lo sento, questo odore intenso. Mi colpisce a vampate, nel caldo anomalo. È buono, è inebriante. Ma fa male».

Davanti a Richard Powers, autore misterioso e sorprenden­te del monumental­e Il sussurro del mondo (La nave di Teseo), si stende la triste scena degli abeti delle Dolomiti abbattuti otto mesi dalla tempesta Vaia. Sale verso Cortina, Powers, dove parlerà domani del suo romanzo a tante voci che ha meritato il Premio Pulitzer 2019, e il suo senso di identifica­zione cresce e si fa più acuto man mano che la nazione dei boschi, la foresta verde di larici e pini cembri, di mughi e ippocastan­i, lo abbraccia e gli mostra le ferite, i tronchi riversi al sole torrido: sì, identifica­zione, perché quello che abbiamo in mano è uno dei primi libri ad assumere clamorosam­ente un punto di vista non-umano. A rifiutare l’antropocen­trismo in modo programmat­ico, come una vera e propria «conversion­e». The Overstory, come s’intitola in originale, è il tentativo di Powers di pensare come una corteccia, come un ramo, come un intreccio nodoso.

Powers, Il sussurro del mondo è una storia di alberi organizzat­a come un albero:

le sezioni si intitolano radici, tronco, chioma e semi. Come ci è arrivato?

«Scrivendo le diverse storie di nove attivisti dell’ambiente che cercano di salvare le ultime macchie di antiche foreste degli Stati Uniti, una “foresta” di personaggi, mi sono presto accorto di quanto complesso fosse per i lettori seguire così tante e diverse trame simultanea­mente. Poi mi si è accesa la lampadina: iniziare il romanzo con quelli che potevano sembrare racconti indipenden­ti, ciascuno dedicato allo sviluppo di un personaggi­o a parte, e poi far confluire le storie individual­i in una trama più grande e condivisa. Solo allora mi sono accorto quasi per caso che stavo dando al romanzo la forma di un gigantesco albero, con separate radici che si uniscono in un tronco, e poi, nel disastro collettivo che segna il climax della storia, si separano ancora. E alla fine, ogni storia produce il suo imprevedib­ile seme, l’indizio di storie che proseguira­nno oltre il libro».

Il romanzo segna un approccio nuovo alla narrativa, che fa proprio il punto di vista degli alberi. Lo considera un punto di non ritorno nella sua scrittura?

«È esattament­e così. Considero questo libro non soltanto diverso dai precedenti nel soggetto, ma qualitativ­amente differente nella filosofia, nell’estetica, nel metodo e nello scopo. Ha rappresent­ato una rivoluzion­e personale e tornare al mero romanzo umanocentr­ico sarebbe impossibil­e. Ho scelto di ricollegar­mi a una lunga e vasta corrente di letteratur­a mondiale in cui chi narrava era consapevol­e che è impossibil­e parlare di noi e dei nostri destini senza inserire ciò che ci circonda, che umano non è».

In una storia ciascun figlio della famiglia Appich ottiene alla nascita un albero piantato a suo nome. Fosse un Appich, che albero sarebbe?

«Quella parte del libro è stata ispirata da un incidente di famiglia. Mio padre piantò un acero per la mia nascita, lo chiamò “l’albero di Ricky”, ma, quand’ero ancora piccolo, quell’albero, il mio albero, morì. Rimasi traumatizz­ato. Da adulto, dopo la mia conversion­e alla consapevol­ezza degli alberi sette anni fa, ho scoperto che ci sono così tanti alberi incredibil­i tra le quasi 100 mila specie di piante sulla terra che è difficile sceglierne uno come alter ego. Forse però c’è un albero di cui mi sono innamorato. In inglese si chiama Pawpaw, Asimina triloba. È piccolo, vive nel sottobosco, non è particolar­mente bello. Ha un fiore violaceo, stravagant­e e maleodoran­te, che sboccia in primavera prima delle foglie dall’aroma vagamente petrolchim­ico quando vengono ● Domani (ore 18) al Cristallo Resort & Spa di Cortina il Pulitzer 2019 Richard Powers è protagonis­ta dell’incontro di anteprima della rassegna «Una Montagna di Libri» Ingresso libero, prenotazio­ne consigliat­a all’indirizzo

spezzate. Ma il frutto che produce è magnifico, ha un sapore tra banana e mango. Potrebbe avere un ruolo cruciale nell’agricoltur­a futura: può crescere all’ombra, sotto altri alberi, fornendo così un secondo raccolto nella stessa estensione di terreno».

È nella grande nazione delle conifere che sono le Dolomiti. In cosa questi alberi differisco­no dagli altri?

«Adoro i pini e gli abeti. Ce ne sono cinque specie diverse nelle Great Smoky Mountains dove vivo, amo fare una piccola deviazione sul sentiero ed entrare nella foresta asciutta di pini e querce, sentire subito cambiare suolo e odore dell’aria. Quasi una droga. Le conifere sono la più antica delle due grandi famiglie in cui si dividono le piante. Stare di fronte a una conifera è entrare in connession­e con una forma di vita che è sopravviss­uta ai dinosauri».

Una questione di età, insomma

«Ci sono esemplari di pini dai coni setolosi in California che esistono da secoli prima dell’invenzione della scrittura. Il loro legno, il più forte in proporzion­e alla leggerezza e alla facilità di lavorazion­e, è stato fondamenta­le nell’espansione della razza umana. I pinoli sono un cibo che viene quasi dagli dèi, come sa bene ogni italiano amante del pesto. Ma la cosa più importante è che molta parte degli studi sulla comunicazi­one chimica tra le conifere, in via aerea e nella condivisio­ne di risorse sotto il suolo, è tutt’ora in corso. C’è ancora così tanto da scoprire su questi alberi incredibil­i».

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 ?? Sui Monti Pallidi ?? Ieri Richard Powers ha visitato i picchi dolomitici dove tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre il maltempo ha abbattutto milioni di alberi
Sui Monti Pallidi Ieri Richard Powers ha visitato i picchi dolomitici dove tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre il maltempo ha abbattutto milioni di alberi
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L’incontro

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