Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
INCAPACI DI GESTIRE LA DIVERSITÀ
Cattiverie gratuite alla malata d’Alzheimer: «Tua figlia è morta»
Non sono eventi epocali: sono il basso continuo della nostra vita sociale. Non sono i grandi problemi che decidono le sorti del paese: sono i piccoli problemi quotidiani, che però forse ne decidono l’anima. Perché ce li ritroviamo accanto, sempre più spesso, ci riguardano tutti, e ci mettono di fronte a dilemmi – morali prima che culturali, culturali prima che sociali, e sociali prima che politici – che porteremo con noi a lungo.
Di cosa parliamo? Delle solite – ormai – notizie di polemiche e conflitti (non sempre solo verbali) su base etnica e razziale, o così interpretati. Vediamole, nella loro diversità che tuttavia le accomuna.
Un sindaco (di Caerano San Marco, nel Trevigiano) avvicina un camper di nomadi, per chiedere (intimare, immaginiamo, a termini di legge) di andarsene: viene aggredito e picchiato. A un ragazzo di origine etiope viene impedito di entrare in un locale sul lido di Sottomarina a causa del colore della sua pelle. In un campo di calcio di una serie minore, nel miranese, dei giovanissimi atleti originari della Colombia e del Burkina Faso vengono insultati dagli avversari per lo stesso motivo. Un comportamento, va detto, piuttosto frequente sui campi da gioco e ancor più sugli spalti.
Il terzo episodio contenutisticamente il meno grave, segnala però il problema più ampio: la «banalità di questi fatti, che accadono tutti i giorni nei più disparati ambienti.
ROVIGO È il 16 giugno e già da qualche giorno le telecamere nascoste dai carabinieri filmano ciò che accade nel cosiddetto «reparto arancione» dell’Iras, la casa di riposo di Rovigo finita al centro dello scandalo sui presunti maltrattamenti. Quella sera si scorgono due operatrici armeggiare intorno a un’anziana. Il gip descrive così la violenza: una delle due donne «la colpiva con buffetti sulla fronte e sulla nuca, la posizionava sul sollevatore elettrico lasciandola sospesa nel vuoto e facendo finta di buttarla giù dalla finestra». E mentre giocano a spaventare a morte la paziente, le dicono «Sai che volo fai da qua... arrivi direttamente a casa». E poi la insultano: «Cagona! Puzzona!». Infine, sempre con la complicità della collega, «la afferrava con veemenza e la faceva stendere in posizione supina, mettendole una mano sulla bocca per farla stare zitta e, imitandone le grida, la derideva».
L’ordinanza con la quale il giudice Laura Contini dispone il divieto di lavorare nelle strutture assistenziali per nove persone, è un pugno nello stomaco. Decine gli episodi contestati. E la sensazione che rimane addosso è quella che almeno nelle ore in cui la struttura finiva nelle mani di quelle operatrici socio-sanitarie (Oss) - il reparto si trasformasse in un luogo senza regole, dove le indagate potevano dare sfogo alle loro frustrazioni.
Bestemmie, schiaffi, pizzicotti. E insulti: «Letamaio», «Scimmia». E poi le intimidazioni e le minacce. Come il 7 giugno, quando una delle dipendenti della struttura affronta così un’anziana colpevole di essersi imbrattata con le proprie feci: «Deficiente, ad ammazzarti sarebbe ancora poco. Che morissi, che avessi preso fuoco almeno! Brutta sporca di una vecchia... animale da cortile!». O il 10 luglio: «Silenzio, dormite! Basta fare rumore sennò ti sbatto la testa stasera (e alle parole segue uno schiaffo, ndr)». E cinque giorni dopo una paziente si sente dire «Ammazzati che è meglio». O il 27 luglio: la stessa vecchietta «cercava disperatamente la bottiglia dell’acqua sul comodino - ricostruisce il gip - l’inserviente la ignorava volutamente, dicendole dapprima “chissà che ti soffochi”, insultandola e dicendole espressamente “te la prendi da sola l’acqua, arrangiati”, per poi schiaffeggiarla sulla gamba mentre si dirigeva verso l’uscita». Se qualcuna prova a ribellarsi, va anche peggio: il 21 luglio una ricoverata implora la Oss: «Non fare così... portami dal dottore per piacere...», e l’operatrice prima le risponde che il medico non c’è e poi si sente l’anziana «che urla e si lamenta e si vede l’indagata colpire la testa della degente con dei piccoli schiaffi».
Ma le indagini della squadra mobile di Rovigo hanno dimostrato anche tante meschinità, che forse non avranno valore penale ma restituiscono il clima di squallore. Come quando una delle operatici sfotte una malata di Alzheimer chiedendole: «Hai seppellito tua figlia?», «Allora è morta tua figlia?» . O il 20 giugno, quando un addetto alle pulizie (l’unico maschio finito nell’inchiesta) impegnato a lavare i pavimenti «si avvicinava al letto dell’anziana schiaffeggiandola sulle mani senza alcun motivo e successivamente appoggiava la parte umida dello spazzettone sul suo viso». Otto giorni dopo, lo stesso uomo viene ripreso mentre si avvicina silenziosamente al letto della stessa ricoverata,
Le parole del giudice Nel reparto vigeva un vero e proprio metodo, violento e irrispettoso... Gli indagati si sono resi responsabili di vessazioni, con modi che indicano la consapevolezza di un generale clima di tolleranza e diffusione di tali atteggiamenti
che stava dormendo, e a quel punto «batte forte le mani a pochi centimetri dal volto della donna, svegliandola».
Ci sono poi alcune stranezze. La prima è che, in almeno due occasioni, alcune operatrici vengono riprese mentre entrano di notte nelle stanze e, con il loro cellulare, scattano delle fotografie alle pazienti. Un gesto «inspiegabile», sottolinea lo stesso giudice. Poi c’è un’altra questione, più delicata. Il 16 giugno, una delle indagate appena rientrata dalle ferie «aveva informato le colleghe della presenza delle telecamere della polizia, installate con il pretesto di intervenire per una fuga di gas». Una informazione, avrebbe spiegato l’operatrice «avuta da un vigile del fuoco suo amico». La cosa incredibile, quindi, è che il personale della struttura si sia ugualmente lasciato andare ai maltrattamenti. Per il gip, è la dimostrazione che nel reparto vigeva «un vero e proprio metodo, violento e irrispettoso verso le degenti, diffuso anche fra gli operatori e finanche tra gli addetti ai servizi». Sia chiaro: soltanto quelle sette Oss e i due addetti esterni hanno commesso gli illeciti. Tutti gli altri dipendenti della struttura hanno sempre dimostrato un comportamento rispettoso. Ma tant’è. «I singoli indagati - prosegue il giudice - si sono resi responsabili di vessazioni, con modi che indicano (...) la consapevolezza di un generalizzato clima di tolleranza e diffusione di tali atteggiamenti».
In alcune intercettazioni, le operatrici sembrano giustificare i loro comportamenti con le reazioni inconsulte delle pazienti. «Ma dalla visione dei filmati - avverte il gip - appare evidente che si tratti di donne anziane ed esili, molto lente nei movimenti (...) la reazione è del tutto sproporzionata e fuori luogo».