Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LA CRISI E IL NODO CRESCITA
La crisi e il nodo della crescita
L’apertura della crisi del governo legastellato è stata accolta, inusualmente, con sollievo sia all’estero sia in Italia. Sulla fondatezza di questo atteggiamento si giudicherà a crisi risolta, oggi indecifrabile. Ma non c’è dubbio che tanto a livello globale, dove si sta incattivendo lo scontro USA-Cina, quanto a livello europeo, dove i sovranisti rischiano di indebolire una UE impegnata a proteggere i suoi stati membri dalle guerre commerciali e valutarie tra le due superpotenze, c’è urgente bisogno di capire da che parte stia l’Italia: cosa che il governo degli ossimori, del tutto e del contrario di tutto, non era in grado di garantire. In Italia poi, dopo un anno tutt’altro che bellissimo vissuto in apnea grazie agli equilibrismi del ministro Tria e del premier Conte, l’economia è tornata a presentare il conto: del reddito che non cresce e della disoccupazione che resta, specie per i giovani, insostenibile. Ed è su questi temi, dopo un anno di «distrazioni di massa» e con la sessione di bilancio incombente, che verrà giudicato, qualunque sarà, il governo che uscirà dalla pazza crisi. Quello che il Paese domanda è un rilancio della crescita, invocata sia al Nord, perfino nel nuovo triangolo industriale MilanoBologna-Padova, al grido di « meno tasse, più infrastrutture » sia al sud che va gridando « più lavoro, più infrastrutture ». Dove le «infrastrutture » stanno per tutti gli investimenti pubblici materiali e immateriali.
Necessari a favorire una crescita della produttività del sistema Italia da troppo tempo, decenni, troppo bassa. E qui si ritorna al punto di partenza, alla necessità di riavviare una politica economica che, persa la falsa illusione di crescere rilanciando i consumi con reddito di cittadinanza e quota 100, si muova lungo il sentiero stretto del debito pubblico da ridurre nel medio periodo e punti senza indugio alla crescita attraverso un aumento della spesa in investimenti, privati da incentivare e pubblici da realizzare, sfruttando a questo scopo ogni risorsa aggiuntiva creata con avanzi primari e ogni flessibilità contrattata con l’Unione Europea. Una Ue con la quale «per fortuna» dovremo concordare la manovra. Una Ue che oggi sente la morsa del rallentamento della crescita anche nella sua locomotiva tedesca. È questo il momento di abbandonare ogni velleità suicida di salvarci da soli fuori dell’euro e dell’Ue e spendere ogni residua autorevolezza di Paese fondatore nel coagulare a Bruxelles una maggioranza che sposti l’asse di equilibrio tra austerità e crescita. L’interesse europeo coincide con quello italiano. Sapremo cogliere l’occasione? Avremo alla fine della più imprevedibili delle crisi un governo capace di rimettere il Paese sul sentiero di crescita che merita? È da sperare che prima o poi questi temi trovino il loro spazio in un dibattito oggi dedicato solo alla conquista di consenso e vuoto potere.