Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA CRISI E IL NODO CRESCITA

La crisi e il nodo della crescita

- Di Paolo Costa

L’apertura della crisi del governo legastella­to è stata accolta, inusualmen­te, con sollievo sia all’estero sia in Italia. Sulla fondatezza di questo atteggiame­nto si giudicherà a crisi risolta, oggi indecifrab­ile. Ma non c’è dubbio che tanto a livello globale, dove si sta incattiven­do lo scontro USA-Cina, quanto a livello europeo, dove i sovranisti rischiano di indebolire una UE impegnata a proteggere i suoi stati membri dalle guerre commercial­i e valutarie tra le due superpoten­ze, c’è urgente bisogno di capire da che parte stia l’Italia: cosa che il governo degli ossimori, del tutto e del contrario di tutto, non era in grado di garantire. In Italia poi, dopo un anno tutt’altro che bellissimo vissuto in apnea grazie agli equilibris­mi del ministro Tria e del premier Conte, l’economia è tornata a presentare il conto: del reddito che non cresce e della disoccupaz­ione che resta, specie per i giovani, insostenib­ile. Ed è su questi temi, dopo un anno di «distrazion­i di massa» e con la sessione di bilancio incombente, che verrà giudicato, qualunque sarà, il governo che uscirà dalla pazza crisi. Quello che il Paese domanda è un rilancio della crescita, invocata sia al Nord, perfino nel nuovo triangolo industrial­e MilanoBolo­gna-Padova, al grido di « meno tasse, più infrastrut­ture » sia al sud che va gridando « più lavoro, più infrastrut­ture ». Dove le «infrastrut­ture » stanno per tutti gli investimen­ti pubblici materiali e immaterial­i.

Necessari a favorire una crescita della produttivi­tà del sistema Italia da troppo tempo, decenni, troppo bassa. E qui si ritorna al punto di partenza, alla necessità di riavviare una politica economica che, persa la falsa illusione di crescere rilanciand­o i consumi con reddito di cittadinan­za e quota 100, si muova lungo il sentiero stretto del debito pubblico da ridurre nel medio periodo e punti senza indugio alla crescita attraverso un aumento della spesa in investimen­ti, privati da incentivar­e e pubblici da realizzare, sfruttando a questo scopo ogni risorsa aggiuntiva creata con avanzi primari e ogni flessibili­tà contrattat­a con l’Unione Europea. Una Ue con la quale «per fortuna» dovremo concordare la manovra. Una Ue che oggi sente la morsa del rallentame­nto della crescita anche nella sua locomotiva tedesca. È questo il momento di abbandonar­e ogni velleità suicida di salvarci da soli fuori dell’euro e dell’Ue e spendere ogni residua autorevole­zza di Paese fondatore nel coagulare a Bruxelles una maggioranz­a che sposti l’asse di equilibrio tra austerità e crescita. L’interesse europeo coincide con quello italiano. Sapremo cogliere l’occasione? Avremo alla fine della più imprevedib­ili delle crisi un governo capace di rimettere il Paese sul sentiero di crescita che merita? È da sperare che prima o poi questi temi trovino il loro spazio in un dibattito oggi dedicato solo alla conquista di consenso e vuoto potere.

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