Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’utopia di Mangiaterra Egualitarismo, Vangelo e parità di genere nel «Gioco di Santa Oca» di Laura Pariani
Al centro della romanzo, ambientato nel ‘600, la predicazione di un affascinante capopopolo
C’è una donna molto moderna, che sfida le convenzioni dell’epoca per portare avanti il suo desiderio di ribellione e di libertà. È c’è un capo-banda ancora più moderno, che predica (nel Seicento) l’uguaglianza tra uomini e donne e raduna attorno a sè poveri, contadini e vessati, per combattere il potere. Un predicatore che sa infiammare le folle e spopola su concetti allora altamente «scorretti» e impopolari, anticipando il dibattito contemporaneo sulla gender equality, ma anche sull’accoglienza e la condivisione tra gli ultimi e i privilegiati che stanno in cima. Scorre su due piani paralleli il romanzo di Laura Pariani Il gioco di Santa Oca (La nave di Teseo, 269 pagine, 18 euro), uno dei cinque libri finalisti al Campiello, il premio di Confindustria Veneto.
Nell’autunno del 1652 un pugno di uomini, stanchi di subire le angherie dei nobili e dei soldati che razziano i paesi della brughiera lombarda, si raccoglie intorno a Bonaventura Mangiaterra, un capopopolo che affascina con la parola, una sorta di versione ribelle del Vangelo. Ma non solo. Mangiaterra è convinto dell’uguaglianza tra uomini e donne, tanto da reclutare nella sua banda anche le donne, gesto altamente rivoluzionario per quei tempi. Per fermare la rivolta, l’Inquisizione e i nobili della zona schierano spie e un esercito, ma finiranno a loro volta vittime del carisma di Bonaventura, sebbene poi la banda verrà sconfitta.
La storia si intreccia, in capitoli alternati, con ciò che accade
vent’anni dopo: la cantastorie Pùlvara ripercorre le stesse brughiere. Si era unita in gioventù a Bonaventura e la sua banda, travestendosi da maschio e ora, in cambio di ospitalità, racconta ai contadini le loro imprese. Mano a mano che quelle gesta eroiche rivivono nel racconto, Pùlvara si avvicina sempre di più, come in un gioco che diventa reale, al mistero della vita di Bonaventura Mangiaterra. E a quello che sarà il finale rivelatore del romanzo. «Il gioco racconta il Seicento lombardo - spiega Laura Pariani - e quest’uomo che predicava che non ci sono differenze tra ricchi e poveri e tra uomini e donne. Il travestimento a quell’epoca era l’unico modo per una donna per parlare in pubblico, per questo nella banda le donne agiscono travestite da uomini. Anche se quel glorioso manipolo verrà sconfitto, Pùlvara come memoria storica di ciò che è stato, racconterà la loro grande rivolta, passando da una cascina all’altra con il gioco di Santa Oca».
Se nella parte che riguarda Bonaventura la narrazione è affidata a una pluralità di voci, più lineari sono i capitoli su Pùlvara. Passato il periodo eroico e splendente da «brigante» nella banda dei rivoluzionari, Pùlvara, ormai anziana, attraversa la brughiera per chiudere i conti con il passato. E svelare la parte oscura dell’avventura con i briganti. Le tappe del suo viaggio sono scandite dalle tessere del gioco di Santa Oca, in cui si riconosce il nostro gioco dell’oca. Non è sempre facile seguire l’alternarsi delle vicende e i dialoghi. Del resto la giuria dei Letterati che ha scelto i cinque finalisti del Campiello è stata chiara: non sono romanzi consolatori o semplici. In questo caso, la scelta stilistica e linguistica di Pariani serve a caratterizzare i personaggi e i luoghi d’origine di quel microcosmo in cui vivono e combattono sia Mangiaterra che Pùlvara. E carica di colore e carattere l’intera storia. Dare voce alle vite marginali è ricorrente nella narrazione di Laura Pariani, anche in questo romanzo riesce a farlo ricreando con grande attenzione e cura l’ambientazione d’epoca e la parlata di ogni personaggio. Sta al lettore, alla fine, ricomporre i tasselli del grande puzzle.