Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’Altipiano di Lussu
Ottant’anni fa veniva pubblicato il libro di memorie sull’epopea della Brigata Sassari ad Asiago durante la Grande Guerra. Una denuncia dell’orrore
Ottant’anni fa, fuori d’Italia, in America, veniva stampato Sardinian Brigade, il racconto di Emilio Lussu. Subito dopo un editore in Francia avrebbe dato alle stampe quel libro, finalmente col suo titolo, Un anno sull’Altipiano, l’epopea della Brigata Sassari. «Tra i libri della prima Guerra mondiale – dirà poi Mario Rigoni Stern che riuscirà a leggerlo solo dopo il 1945, quando finalmente a Liberazione compiuta, l’avrebbe fatto uscire l’editore Einaudi - è, per me, il più bello. Tra quanti ne ho letti, studiati, consultati, di autori italiani, austriaci, tedeschi, inglesi, russi, americani, nessuno, proprio nessuno mi ha coinvolto e reso partecipe con quanto l’autore racconta».
È ancora oggi un bestseller. Una critica alla strumentalizzazione della guerra fatta nel Ventennio fascista, quando si preparavano altri tentativi di conquista non solo coloniali. Offre una incredibile lettura di stati di guerra, di storie di
uomini, sardi e non solo, che avvince, travolge, inquieta, tormenta, indigna. Da tutto ciò hanno tratto ispirazione pure registi come Monicelli e Rosi e lo stesso Olmi.
Nel ’36 Lussu aveva già scritto per un editore inglese Teoria dell’insurrezione. Nel ’37 aveva inviato a Gaetano Salvemini le bozze di questo Un anno sull’Altipiano, suggerito dallo stesso «maestro» storico e politico pugliese,composto durante un lungo soggiorno in un ospedale svizzero, dove era ricoverato per problemi ai polmoni, per una malattia non curata durante il confino (da cui era fuggito) nell’isola di Lipari.
Ancor oggi chi vuole «capire» la Grande Guerra non può prescindere da quest’opera. Lo stesso Lussu avverte che «Il lettore non troverà in questo libro, né il romanzo, né la storia. Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati ad un anno, fra i quattro di guerra a cui ho preso parte. Io non h che raccontato quello che ho visto, e mio ha maggiormente colpito. Non alla fantasia ho fatto appello, ma alla mia memoria; e i miei compagni d’arme, anche attraverso qualche nome trasformato, riconosceranno finalmente uomini e fatti. Io mi sono spogliato anche della mia esperienza successiva – continua lo scrittore - e ho rievocato la guerra così come noi l’abbiamo realmente vissuta, con le idee e i sentimenti di allora». Ma è proprio questo non essere un romanzo, non un saggio autobiografico, a dare profonda valenza, soprattutto politica all’opera.
Lo ha riconosciuto e continua a sottolinearlo con particolare evidenza Paolo Pozzato, uno dei più noti storici della Grande Guerra, fin da quando, nel 1991 ha pubblicato un auto saggio, con Giovanni Nicoli, rileggendo la fatica di Lussu, nel senso di cogliere la presenza del mito ed in contemporanea dell’antimito. Perché Emilio Lussu nel vivere prima e nel raccontare poi la Grande Guerra ne ha interpretato tutte le contraddizioni. Ma Pozzato ha fatto di più, e tra le decine di suoi saggi sul primo conflitto mondiale, visto dai due fronti, ancora nel 2006, ci ha raccontato Un anno sull’Altipiano con i diavoli rossi, ripercorrendo le gesta, le passioni, gli assalti dei «piccoli sardi» puntigliosamente descritti da Graziani e dallo stesso Lussu, quegli «eroi» di una Brigata che, come diceva un coro dei soldati, «l’han sempre coglionata: invece del riposo le fan fare l’avanzata». Dalla disfatta di Caporetto agli Altipiani vicentini, fino alla battaglia dei Tre Monti dove Lussu viene nuovamente ferito, ma dalla cui avventura esce con eroicità.
Un anno sull’Altipiano è un libro ineguagliabile per le mille suggestioni che propone, per la forza con cui annota gli «incredibili sardi», fedeli e ligi fin sulle montagne più aspre, piccoli per statura, addirittura ringalluzziti dal primo incontro al fronte con il «Re di coppe», quel Re Vittorio Emanuele che scoprono ancor più basso di loro. Certo, tutto il libro di Lussu trasuda del peso di una leggenda. Ma è tornando a Mario Rigoni Stern, che ce ne consiglia la lettura, citando la consuetudine dei colloqui con lo stesso Lussu. In uno di questi l’autore sardo giustificava così il suo lavoro: «Questa è la mia tribù dove l’onore e la parola hanno sommo valore».