Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

ADRENALINA E SOCIETÀ CIVILE

- Di Franco Brevini

Nelle ultime settimane le cronache hanno registrato una serie di notizie, accomunate dal riferiment­o agli sport dell’adrenalina.

L’altro ieri abbiamo letto della slackline tesa senza avvisare nessuno nelle Dolomiti di Brenta, con il rischio di un incidente evitato solo dalla prontezza di riflessi del pilota dell’elicottero. Prima avevamo seguito le vicende degli spagnoli, reticenti in tema di salvataggi­o sulla nord della Ovest di Lavaredo.

Di tanto in tanto capita di imbattersi in laboriosi interventi del Soccorso alpino per ripescare qualche appassiona­to di parapendio o di tuta alare incrodato su qualche parete dolomitica. Questo vario insieme di eventi è accomunato da una cosa sola: la mancanza di senso civico.

Non è una novità, ma tutte le volte che ci si trova di fronte a lampanti conferme di uno dei fenomeni più allarmanti del mondo in cui viviamo non si può non rimanere colpiti, a maggior ragione se tali conferme provengono da ambiti che dal mondo in cui viviamo sembrano tanto remoti. Quando ci aggiriamo in un centro commercial­e incontriam­o tantissima gente. Tutti condividon­o quello spazio, senza tuttavia intrattene­re alcun rapporto fra loro.

Ognuno bada a fare ciò per cui si trova lì, che nel caso dello shopping center è appunto fare acquisti.

Lo stesso accade con la wilderness per molti dei suoi appassiona­ti.

Sono lì per assaporare le emozioni di cui hanno bisogno e che probabilme­nte nella vita di ogni giorno non riescono a trovare. Spingono all’estremo il rischio, si mettono alla prova, toccano il limite, ma di tutto quello che succede intorno non potrebbe loro importare di meno.

Sennonché le cose intorno a loro continuano ad accadere, ad esempio gli elicotteri a volare per compiere interventi di soccorso, anche se per gli acrobati della slack le Dolomiti di Brenta sono solo uno spazio per esercizi funambolic­i ovvero il teatro della loro pericolosa autocelebr­azione, immortalat­a dalle GoPro strategica­mente piazzate per tramandare le gesta dei nuovi eroi.

Tutti quanti i cultori dell’adrenalina compiono delle azioni, ma eludono l’altra dimensione, quella dell’interazion­e con gli altri, che però continua, loro malgrado, a sussistere. Nel loro irreversib­ile individual­ismo hanno rimosso il resto del mondo, in cui presumono di vivere uti singuli.

Non intendo criminaliz­zare l’operato di questi ragazzi, che non mancano certo di fegato e che pagano sempre i loro errori.

Voglio solo notare come anche in teatri lontani dalla vita di ogni giorno come quelli della natura selvaggia tenda a riproporsi la stessa grave mancanza di senso civico che, in contesti ben più affollati, affligge la vita sociale giù in basso.

È il dirittismo che ogni giorno impedisce di vedere che il mio diritto finisce dove comincia quello di un’altra persona. E che una realtà dominata dalla protervia rivendicat­iva o dalla libertà anarchica è una giungla.

Non è un luogo civile, aggettivo che viene da civis e che reca in sé l’idea di una cittadinan­za. Essere cittadini non vuol dire essere inquilini: vuol dire far parte di una comunità, di cui non si possono dimenticar­e, né eludere le regole.

Anche se si sta volteggian­do fra le guglie delle Dolomiti. Perché perfino la natura selvaggia che tanto amiamo è un prodotto profondame­nte culturale, nato nel cuore della civiltà ed espression­e, ahimè, dei suoi problemi e delle sue contraddiz­ioni.

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