Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Ducale, giallo nel furto Due strane telefonate per denunciare Tomic

Il passaporto falso ma vero. Azione dei servizi segreti?

- Alberto Zorzi

La chiamata è arrivata alle 17.10 del 5 gennaio 2018, un paio di giorni dopo il «colpo del secolo», al centralino della Questura di Vicenza. «Dall’altro capo del telefono – annota l’agente della squadra mobile berica a cui la chiamata viene passata – una persona di sesso maschile, in uno stentato italiano, riferiva di voler svelare le generalità di uno degli autori del furto consumato in data 3 gennaio 2018 a Venezia». La relazione, di una paginetta, è agli atti del processo a Vinko Tomic – che è la persona segnalata – e ai membri della sua banda croato-serba accusati di aver rubato una spilla e due orecchini del valore di quasi 3 milioni alla mostra sui gioielli del Maharaja che si stava chiudendo a Palazzo Ducale. E dimostra che la complessa indagine della mobile di Venezia è stata indirizzat­a sulla pista giusta dopo 48 ore da una soffiata. Non l’unica, visto che il 7 gennaio, altri due giorni dopo, ne arriva una seconda alla polizia ferroviari­a.

L’uomo che chiama a Vicenza rivela che l’autore si chiama «Tomic Vinko, di anni 56/57, di nazionalit­à croata con residenza a Zagabria – continua la relazione – E’ un appartenen­te al noto gruppo criminale internazio­nale denominato “Pink Panthers”, banda degli ex militari serbi, ed è già stato arrestato nell’anno 2010 a Montecarlo in Francia per fatti analoghi». Un’ora e mezza dopo l’uomo aveva poi richiamato per precisare che abitava a Dubrava, alle porte di Zagabria e che usava due alias: Sinisa Majstorovi­c e Jure Markelic. E qui bisogna aprire una parentesi, perché Majstorovi­c è proprio il nome che spunta su un passaporto croato che Tomic usava per spostarsi in Europa: non un passaporto falso o contraffat­to, magari dopo averlo rubato in bianco in un ufficio pubblico, ma un documento così rilasciato. E non serve aver visto troppi film di spionaggio per capire che c’è qualcosa che non quadra, tra passaporti veri-falsi e soffiate dall’estero che arrivano dopo 48 ore alla polizia italiana. Tomic è stato incastrato? Qualcuno lo voleva far arrestare? Ci sono di mezzo servizi segreti o qualcosa di analogo? Tutti interrogat­ivi che cadono nel vuoto, anche perché il ladro croato non ne ha mai parlato e soprattutt­o non si è ancora «vendicato» con la mossa che il pm Giovanni Gasparini, nell’udienza dell’altro ieri, ha spiegato essere l’unica per ottenere le attenuanti generiche: far ritrovare i gioielli o dire a chi li aveva consegnati, visto che l’ipotesi è di un furto su commission­e.

A infittire il giallo c’è anche una seconda «soffiata», che non a caso arriva a un agente della Polfer di origine slava. «Verso le 19 del 7 gennaio 2018 ricevevo una telefonata da una persona conosciuta anni addietro per motivi di servizio – annota il poliziotto – la quale riferiva di aver saputo da un suo conoscente le generalità di uno dei due autori del clamoroso furto». Questo soggetto parlava poi del passaporto croato a nome Majstorovi­c e riferiva il vero nome di Vinko Tomic e la residenza attorno a Zagabria e aggiungend­o il dettaglio che viaggiava su una Audi A8 con targa bosniaca. In più inoltrava due link – uno del Las Vegas Sun che parlava di un colpo del 2010 nella città dei casinò, l’altro di Le Parisien sull’arresto di Tomic nel 2009 per un furto a Montecarlo – e pure una foto del croato da confrontar­e con i fotogrammi delle telecamere di Palazzo Ducale, già diffusi dalla polizia.

Venerdì prossimo il giudice Enrico Ciampaglia leggerà la sentenza. L’altro ieri gli avvocati di Tomic, Simone Zancani e Alessandro De Angelis, hanno cercato di sminuire l’episodio, parlando di «processo mediatico per coprire le falle della sicurezza». Il pm ha chiesto 3 anni e mezzo per Tomic e per il serbo Dragan Mladenovic, che fece da palo. Gli altri tre membri della banda patteggera­nno poco più di due anni.

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