Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Manuel, aggressori condannati «Ma chi mi ridarà le gambe?»
Il giovane nuotatore continua ad allenarsi
VENEZIA Sono stati condannati a 16 anni i due aggressori di Manuel Bortuzzo, il nuotatore trevigiano che nella notte fra il 2 e il 3 febbraio, a Roma, è stato colpito da un proiettile alla schiena. Il giovane, rimasto paralizzato dal bacino in giù, dice: «La sentenza non mi ridà le gambe».
TREVISO E’ arrivato il giorno della sentenza, dopo quella drammatica notte fra il 2 e il 3 febbraio scorsi che ha cambiato per sempre la vita di Manuel Bortuzzo, la giovane promessa del nuoto azzurro. Tre colpi di pistola sparati da due ragazzi in moto mentre il ventenne trevigiano stava comprando le sigarette a un distributore automatico con la fidanzata Martina (miracolosamente illesa), a Roma, sono costati la paralisi dal bacino in giù alla «vittima per caso», raggiunto alla schiena da uno dei proiettili, e una condanna a 16 anni ciascuno agli aggressori. Ieri Lorenzo Marinelli e Daniel Bazzano, che quella notte hanno probabilmente scambiato Manuel per uno dei pusher rivali dai quali erano stati picchiati qualche giorno prima, sono stati condannati con l’accusa di duplice tentato omicidio aggravato dalla premeditazione, porto, detenzione e ricettazione della pistola calibro 38 e rissa. Caduta l’aggravante dei futili motivi. Il giudice Daniela Caramico d’Auria non ha inoltre
accolto del tutto la richiesta della condanna a 20 anni avanzata dall’accusa, ma ha stabilito una provvisionale di 300mila euro per Bortuzzo. Quanto al risarcimento (la famiglia ha chiesto 10 milioni di euro), il tribunale ha stabilito che debba essere discusso davanti al giudice civile.
«La sentenza non cambia le cose — commenta Manuel — non mi restituirà certamente le gambe. In questo momento penso solo a riprendermi, consapevole che la giustizia debba fare il suo corso. Non mi importa sapere se chi mi ha fatto del male sia punito con 16 o 20 anni di prigione. Nessuna sentenza mi può far ritornare come prima. Il mio sogno — aggiunge il nuotatore — è tornare a camminare. Mi sto impegnando ogni giorno per realizzarlo e gli insegnamenti dello sport mi stanno aiutando in questa nuova dimensione. Il destino non si può cambiare, ma posso indirizzare la mia realtà: non posso fare quello di prima? Farò altre centomila cose, con impegno e sempre col sorriso». Il ragazzo, dopo aver lasciato la Terapia intensiva dell’ospedale San Camillo di Roma, il 18 febbraio scorso, e conclusa la riabilitazione, sta continuando a frequentare l’Istituto di Neuroscienze Santa Lucia di Roma per allenarsi in piscina. «Per adesso non ci sono novità nè speranze riguardo la possibilità che possa recuperare l’uso delle gambe — spiega il suo avvocato, Massimo Ciardullo del Foro di Roma —. Manuel continua ad allenarsi e ad andare avanti spinto dalla sua grande forza di volontà. A proposito della sentenza, l’impianto accusatorio ha retto, soprattutto per
quanto riguarda la premeditazione. L’ho comunicata al padre del giovane, Franco Bortuzzo, che mi ha chiesto se fosse giusta e gli ho detto di sì». Nel processo, il Comune di Roma si è costituito parte civile.
Ora il sogno del campione è di arrivare alle Paralimpiadi del 2020 a Tokyo. «La positività con cui Manuel sta affrontando le conseguenze dell’aggressione subita è un esempio per tutti — dichiara
Paolo Barelli, il presidente della Federnuoto, che è sempre rimasta vicina al ragazzo —. La condanna non gli cambierà la vita, ma dev’essere un monito, un deterrente e una punizione severa. Non è possibile accettare, giustificare, minimizzare nè convivere con determinati comportamenti. Manuel è un figlio della nostra grande famiglia e la Federnuoto continuerà a sostenerlo e a proteggerlo».
Sul fronte dei due imputati, l’avvocato Alessandro De Federicis, che li difende insieme alla collega Giulia Cassaro, ammette: «Sedici anni sono tanti. È una pena alta, che non ci soddisfa, ma dobbiamo vedere le motivazioni. Quello che posso dire è che presenteremo appello. Lorenzo Marinelli e Daniel Bazzano sono rimasti senza parole e mi hanno chiesto di andare in carcere quanto prima per parlare con loro».