Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Dal fascino di San Marco all’incanto della Riviera tra la nebbia e l’acqua alta
VENEZIA Lo sapevi già, perché nei giorni prima non solo l’hai letto, ma l’hai anche scritto. Eppure quando scavalli il ponte Molin e inizi a vedere le onde che salgono, superano le rive delle Zattere e sbattono contro il muro... eccola lì, non la scamperai, la famigerata acqua alta. Anzi, altissima, perché quella del 2018 è stata la Venicemarathon con la marea più elevata di sempre, a quota 120 centimetri. Io, complice la mancanza dei mitici «lunghi» del maratoneta, avevo ripiegato sui 10 chilometri e ho messo sott’acqua «solo» la scarpa. Le immagini dei maratoneti con le caviglie e mezzo polpaccio a mollo hanno fatto il giro del mondo: sono arrivati stremati, con i piedi macerati, ma sono sicuro che è stato uno spot incredibile.
Quest’anno non accadrà (le previsioni, anzi, spaventano per il troppo caldo), ma dove mai puoi correre una maratona con i piedi nell’acqua, se non a Venezia? Per non parlare dei 14 ponti, compreso quello da 166 metri di lunghezza che attraversa il canal Grande da Punta della Dogana a Vallaresso, croce e delizia di chi si è già sciroppato 39 chilometri e mezzo e l’arrivo lo vede lì, in lontananza, tra i campanili «cugini» di San Marco e San Giorgio.
Ma la Venicemarathon non è solo Venezia. Ieri mattina qualcuno ha detto che questa è la Città metropolitana, mentre Piero Rosa Salva, che se la inventò nel 1986, ha ricordato come allora si erano pensati vari tracciati per arrivare in centro storico.
Poi si scelse la Riviera del Brenta, con la spettacolare Villa Pisani di Stra e l’infilata di stupende dimore «fuori porta» dei nobili veneziani. Il tratto della Riviera non sarà come i ponti di Venezia o come quella circumnavigazione di piazza San Marco introdotta qualche anno fa. Ma chi come me l’ha corsa qualche volta, se lo ricorda come altrettanto bello. Sarà perché le energie sono tante, si scherza e si ride, e come la cicala della favola usi quel fiato la cui assenza più tardi maledirai.
Quando passi a Fiesso d’Artico, Dolo, Mira, trovi le piazze con tante persone che ti applaudono e incitano, nemmeno fossi l’Eliud Kipchoge dell’«1:59» di dieci giorni fa a Vienna. C’è quell’atmosfera da festa di paese che è impagabile, i bambini porgono la mano per l’«high-five» o ti porgono bicchieri d’acqua. Ti incitano anche i gruppi musicali, da anni presenza fissa sul percorso (quest’anno una dozzina), e ne avrai bisogno perché poco dopo entri nella desolazione di Malcontenta e del primo pezzo di Marghera, tra carcasse industriali e ciminiere ancora funzionanti. Poi inizia la «città giardino» e in un attimo sei a Mestre: tanta gente, ormai più di metà gara se n’è andata e il corpo inizia a mandare i primi segnali.
La maratona inizia al 30esimo chilometro, dice il detto più famoso. Non è più solo una questione di gambe, e San Giuliano si presenta con un cavalcavia in entrata e uno in uscita. Ma a proposito di infinito: che dire del ponte della Libertà?
Ogni anno non sai se sperare di correre nel freddo della nebbia pur di non vedere quella Venezia lontana che è lì e ti aspetta. Perché la maratona è così, democratica dall’inizio al km 42 (e 195). E quando, superato il penultimo ponte, intravvedi il portale d’arrivo e senti la voce degli speaker, non importa quante ne hai già fatte; non importa se tu stia facendo lo sprint per il record personale o se i crampi ti impediscano quasi di camminare: vi assicuro che tenere l’occhio asciutto non è per niente facile.