Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Da qui alla luna» Vaia e l’epica civile di Matteo Righetto
«Da qui alla luna» dello scrittore padovano apre la stagione dello Stabile. La regia di Sangati e l’interpretazione di Pennacchi portano in scena il dramma di Vaia
«Se si potessero impilare l’uno sull’altro si arriverebbe quasi a toccare la luna»: così scrive Matteo Righetto, nella sua pièce Da qui alla luna, alludendo ai 16 milioni di alberi sradicati dalla tempesta Vaia che nell’ottobre dello scorso anno ha devastato il Nordest d’Italia. La scelta di tradurre in un testo teatrale le proprie emozioni e le testimonianze raccolte sul territorio nasce dalla convinzione dello scrittore padovano «dell’efficacia unica della narrazione in carne ed ossa, l’esperienza viscerale che dal palcoscenico colpisce il pubblico e lo coinvolge arrivando dritta al cuore e alla testa degli spettatori». E alla prova dei fatti l’allestimento prodotto dallo Stabile del Veneto con la regia di Giorgio Sangati, andato in scena in prima nazionale mercoledì sera in apertura della stagione teatrale del Verdi di Padova (in replica fino a domenica 10 novembre), ha sortito l’effetto sperato. Attenzione e partecipazione hanno accompagnato il racconto affidato ad Andrea Pennacchi, che interpreta tre diversi personaggi, abitanti delle vallate bellunesi, accomunati da sentimenti di sgomento, rabbia, paura: il muratore Silvestro, un uomo maturo, pronto a intervenire in prima persona; Paolo, studente dodicenne, che vede sconvolto il proprio futuro; e la vecia Agata, sola con la propria angoscia.
Una narrazione fatta in sinergico dialogo con la chitarra di Giorgio Gobbo. L’efficacia delle parole e delle tragiche immagini evocate è stata sostenuta e amplificata dalle suggestioni indotte dalla musica: una vera e propria drammaturgia sonora composta dallo stesso Gobbo insieme a Carlo Carcano, autore della partitura orchestrale. La non facile armonizzazione tra la chitarra e il canto di Gobbo e l’esecuzione affidata all’Orchestra di Padova e del Veneto, diretta dal maestro Lorenzo Pagliei, ha dato vita a momenti di autentica commozione. La sontuosità dell’orchestra composta unicamente da archi non è apparsa preponderante, come sarebbe potuto accadere, ma ha veicolato suoni e rumori della natura che, se violentata dall’uomo, sa farsi matrigna.
La dimensione di assorto oratorio ha trovato la sua giusta ambientazione nella scenografia, spoglia ma profondamente significativa, allestita da Alberto Nonnato con i ceppi di alcuni degli abeti rossi abbattuti da Vaia e donati dal Comune di Falcade e illuminata dal disegno luci di Paolo Pollo Rodighiero. Il tutto orchestrato da una regia minimalista, sia nella vocalità e nella gestualità consigliate all’attore, sia nell’uso parco di effetti scenici. Ma al di là della riuscita dello spettacolo, ciò che conta è l’esito a cui approda di creare consapevolezza di quanto è accaduto, poiché manca una corretta e diffusa percezione dell’ecatombe ecologica che ha colpito il Nordest.
Una tragedia di dimensioni epocali, se riflettiamo, come ci dice il testo, sulla drammatica equivalenza tra il numero di alberi abbattuti e il numero dei caduti nella prima guerra mondiale, combattuta cento anni prima, proprio negli stessi territori. Righetto ci sottopone alcuni dati oggettivi: la lunghezza degli alberi schiantati è pari a otto volte la circonferenza della Terra; l’ossigeno che viene a mancare avrebbe potuto essere respirato da milioni di uomini; da quel legno spezzato sarebbe potuti nascere oltre un miliardo di strumenti musicali: un bilancio da brividi.
Lo spettacolo sarà il 12 novembre al Teatro Comunale di Belluno; il 13 dicembre nelle Sale del Museo di Monselice e il 26 gennaio al Teatro Quirino De Giorgio di Vigonza (Padova).Info: www.teatrostabileveneto.it