Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Vinciguerra rivela: «Un giorno mi chiesero di uccidere Rumor»
Nuove rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra, ex estremista di Ordine Nuovo, durante il processo per la strage di Bologna: «Non decretò lo stato di emergenza dopo piazza Fontana, doveva pagare»
«Maggi e Zorzi mi chiesero di assassinare Mariano Rumor». Queste le rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra, ex Ordine Nuovo, al processo Cavallini per la strage di Bologna.
strage di Bologna insieme a Luigi Ciavardini. Sua moglie aggiunge: «c’era anche Delfo Zorzi», pure lui ordinovista di ferro. Dal ‘74 vive in Giappone dove è scampato all’estradizione grazie al matrimonio con una donna giapponese, indagato come esecutore materiale delle stragi di Brescia e di piazza Fontana, assolto per insufficienza di prove. La sua colpevolezza venne riconosciuta solo per alcuni attentati con candelotti di gelignite a Trieste e Gorizia. Per i giudici però «la cellula veneziana di Maggi e Zorzi» nel 1969 organizzava attentati terroristici, sebbene «non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre».
Un altro nome che ricorre spesso è quello di Massimiliano Fachini. Processato e assolto sia per piazza Fontana che per Bologna. A detta di molti ex camerati si deve a lui la formazione eversiva di Gilberto Cavallini in Veneto, dove il capo dei Nuclei armati rivoluzionari, detto «il Negro», si rifugiò nel ’77 e a Villorba di Treviso, nella casa della ex compagna Flavia Sbrojavacca, ospitò Francesca Mambro e Valerio Fioravanti nei giorni prima e dopo il 2 agosto 1980. Luigi Ciavardini, invece, era nascosto da una misteriosa persona di Treviso, che gli fornì anche un motorino, ma della quale, anche a distanza di 40 anni, si è rifiutato di rivelare il nome. Per questo è indagato per falsa testimonianza dalla Procura bolognese.
Mambro, Fioravanti e Ciavardini, ormai liberi dopo 24 anni di carcere, sostengono che la mattina del 2 Agosto andarono con Cavallini a Padova, dove rimasero un paio d’ore in attesa che questi, che doveva portare un’arma da modificare a una persona misteriosa, tornasse a riprenderli. Chi avrebbe incontrato quella mattina Cavallini? Perché non ha mai rivelato il nome del suo alibi? Mambro e Fioravanti solo dopo molti anni diranno che era «zio Otto» cioè Carlo Digilio, esperto di armi ed esplosivi, segretario del poligono di tiro di Venezia. Fu lui a parlare dei massicci invii di tritolo e altro esplosivo di provenienza bellica ai neofascisti romani. Digilio, informatore dei servizi, ha confermato l’appuntamento con Cavallini, che però lo smentisce. «Incontrai a Padova un mio conoscente soprannominato “il sub” ma non farò mai il suo nome» ha detto alla Corte d’Assise di Bologna, continuando a professarsi innocente, ma rischia un altro ergastolo. Il legame con «zio Otto» confuterebbe l’immagine dei Nar come spontaneisti armati, quali si sono sempre professati, e dimostrerebbe il loro legame con la vecchia guardia stragista.
Facciamo un passo indietro. È il 10 luglio 1980, nel carcere di Padova il magistrato di sorveglianza Giovanni Tamburino raccoglie le confidenze dell’estremista Luigi Vettore Presilio su un imminente attentato «che avrebbe fatto parlare tutti i giornali del mondo». Il giudice informa subito i servizi segreti, cioè il generale dei carabinieri Quintino Spella, capo del centro Sisde di Padova. Lo reincontra nei giorni successivi per essere aggiornato sulle indagini. Spella vola a Roma, secondo gli inquirenti, e rivela tutto ai suoi superiori. Cosa è successo dopo? Perché nessuno è riuscito a fermare la strage di Bologna? I servizi segreti hanno coperto i Nar? A queste domande sta cercando di dare una risposta il pool di magistrati della Procura generale di Bologna che indaga sui mandanti della strage alla stazione. L’ex generale Spella, interrogato e perquisito a Padova a gennaio, ha negato tutto ed è stato iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Gli inquirenti ne sono certi: la verità sta in quei rapporti tra Bologna, il Veneto e i servizi segreti romani e nei versamenti di soldi, annotati anche da una mano femminile sull’agenda di Cavallini, che lo collegherebbero alla Svizzera e a Licio Gelli, venerabile maestro della P2.
Io rifiutai l’idea che rivoluzionari come me potessero eliminare un ministro con il concorso di uomini della scorta, voleva dire collaborare con lo Stato
L’obiettivo «Destabilizzare per stabilizzare e creare uno Stato autoritario era il fine delle stragi»