Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I MURI DI IERI E DI OGGI
La sera del 9 novembre di trent’anni fa, si apriva il primo varco nel Muro di Berlino. L’anno era il 1989 e io ero uno studente cafoscarino di vent’anni.
I mesi precedenti furono carichi di attese e, per la mia generazione da poco maggiorenne, fu la prima vera occasione per schierarsi. Era da poco uscito il libro di Mikhail Gorbaciov, «Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro Paese e per il mondo», e dall’acceso dibattito sui contenuti di quelle pagine alcune amicizie si consolidarono e altre vennero irrimediabilmente rotte. Le settimane successive furono travolgenti e portarono a cambiamenti irreversibili in tutto il blocco dei Paesi sotto l’egemonia sovietica (con episodi anche violenti, come l’arresto, il processo sommario e la fucilazione dei coniugi Ceausescu in Romania), che seguimmo incollati ai televisori e leggendo i quotidiani del giorno dopo, perché in quel tempo Internet doveva ancora entrare nelle nostre vite e i social network erano ancora lontani dall’essere concepiti. In meno di un anno (era il 3 ottobre 1990), le due Germanie furono riunificate. Nel settembre del 1991, io percorsi in macchina le strade dell’allora Cecoslovacchia e della Polonia fino a BielskoBiała, anche per vedere con i miei occhi il mondo «oltre cortina» che stava velocemente sparendo.
Trent’anni dopo quel 9 novembre 1989, non abbiamo ancora imparato la lezione della caduta del Muro di Berlino.
Quel muro in calcestruzzo, lungo oltre cento chilometri e alto quasi quattro metri, che calpestò i diritti di milioni di persone e indignò il mondo, oggi ha le sembianze sia dei porti chiusi e delle frontiere blindate per respingere le persone migranti, sia di certe legislazioni nazionali o territoriali che stigmatizzano ed escludono chi è già nel nostro Paese e ne impedisce, ostacola o ritarda la piena integrazione sociale e culturale. Come allora la forza dei diritti per la libertà individuale di movimento e di pensiero sgretolarono prima il Muro e poi i regimi che lo avevano eretto e lo difendevano, così oggi la marea inarrestabile dei flussi migratori abbatterà qualsiasi ostacolo fisico e giuridico al loro passaggio. È solo questione di tempo e ci saranno benèfici effetti per tutte le società, soprattutto per quelle che avranno saputo essere accoglienti e inclusive per tempo. Chi lo va a dire alla politica?
Quel recinto fortificato e con il filo spinato lungo quasi 130 chilometri e alto quasi tre metri che completava la «cortina di ferro» attorno a
Berlino, oggi ha le sembianze della cultura piegata alle logiche degli schieramenti contrapposti, che fa breccia in alcuni segmenti della società alla ricerca di certezze consolidate e che funge da deterrente per chiunque non si rassegni a vivere in una società balcanizzata e si sforzi per realizzare iniziative locali per l’integrazione e l’inclusione. Le cronache degli ultimi giorni ci parlano di tifoserie venete e di cittadini e cittadine di altre Regioni che hanno ancora entrambi i piedi impigliati nella (brutta) storia di un passato che non ci appartiene più da decenni. Chi lo va a dire a queste persone?
Di quel che successe dopo il 9 novembre 1989, però, c’è un elemento che ancora oggi non ha assunto alcuna sembianza dalle nostre parti. Mi riferisco al coraggio, alla visione, al pragmatismo della classe dirigente tedesca che in meno in un anno realizzò la fulminea riunificazione politica tra due «gemelli molto diversi» (le due Germanie). Da noi si continua a «vivere separati sotto lo stesso tetto», alternando tentativi di allontanamento volontario e scaramucce a momenti di riappacificazione, senza riuscir mai a trovare un assetto realmente stabile, che permetta di mettere mano con decisione alle criticità sociali, economiche e ambientali del tempo in cui viviamo. Questo non lo mando a dire alla politica, glielo dico io.