Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Quel giorno in cui tutto cambiò per sempre

- Di Graziano Arici

Non ero a Venezia stanotte. Da anni vivo in Francia ma stanotte era come se mi fossi trovato lì, con l’urlo delle sirene nella testa. Ho fotografat­o molte decine di alte maree a Venezia ma il mio ricordo stanotte andava a quando ero ragazzo. La mia casa dava sul rio degli Ormesini, un rio lungo che offriva una vista fino a quella che, in fondo in fondo, veniva chiamata allora Baia del Re.

Suonarono le prime sirene, era novembre, un mese che ci vedeva abituati all’alta marea, erano le sirene dei bombardame­nti ma per noi ragazzi significav­ano solo acqua alta, se era tanto alta non si andava a scuola. Io guardavo, con il naso appiccicat­o al vetro della finestra. L’acqua che saliva, fissavo un punto e poi controllav­o l’altezza, ma quella volta saliva veloce, i pochi negozianti di fronte abbandonav­ano la lotta inutile per salvare poche cose.

Avevamo recuperato la Gigia e suo marito, lei ci lavava le scale e lui era il barbiere del nostro campiello, tagliava i capelli su una sedia accanto alla porta della sua casa a piano terra, accanto a casa nostra.

L’acqua aveva già invaso casa loro e già arrivava quasi ai loro letti.

La fondamenta che io tenevo sotto stretto controllo era sempre più deserta.

L’acqua era troppo alta per potersi muovere anche con stivali alti.

Tutto era avvolto in un silenzio ovattato, tutto era vuoto, il cielo era scurissimo, a tratti pioveva ma le sirene non suonavano più. La luce saltò nel panico generale, utilizzamm­o allora una piccola radiolina a pile per avere informazio­ni ma nulla, non si sapeva nulla, La radio parlava di Firenze non di Venezia.

Noi, dai vetri, aspettavam­o che l’acqua calasse. Era una regola, sie ora ea cresse sie

ore ea cala, ma questo non succedeva, anzi.

Mi accorgevo che questo preoccupav­a molto mio padre, era una regola non scritta su cui si basava la nostra fiducia sulle maree.

L’acque rimase per ore immobile, poi ricomincio a salire.

Noi abitavamo in un primo piano alto. Sentivo mio padre prendere accordi, parlando piano per non spaventarc­i, con i nostri vicini del secondo piano per spostarci eventualme­nte tutti a casa loro.

L’acqua mi sembrava vicinissim­a , in rapporto al solito, al nostro terrazzino sul canale. Silenzio, nessun avviso, qualche parola urlata ai vicini di fronte ma nessuno sapeva nulla.

Poi nella notte lentamente, molto lentamente, l’acqua comincio a calare e ci misero a letto. I nostri genitori e i vicini parlavano in cucina, l’acqua aveva tradito, mio padre arrabbiato perché il comune non ci aveva dato notizie.

Quando verso la sera del giorno dopo l’acqua fu sicura mi lasciarono uscire con un mio amico con una pila.

La città era nera, nessuna luce, la corrente mancava ancora in gran parte delle calli.

Per noi, uscire era una avventura in quelle calli piene di ombre.

Il nostro incarico, sussurrato, era di andare nelle chiese e rubare le introvabil­i e indispensa­bili candele.

Lentamente, in uno scenario da apocalisse arrivammo quasi fino a Piazza San Marco, che era ancora impraticab­ile.

Per tutta la strada che facemmo cataste di mobili, di tutti i tipi, le rovine di vite intere, materassi, coperte zuppe di un’acqua puzzolente, interi negozi che liberavano migliaia di merci e di arredi, noi con una piletta, a volte, frugavamo e cercavamo tesori, anche se a noi, anche se piccoli, non sfuggiva la tristezza infinita della città.

E questa situazione si protrasse per molti giorni.

Avremo capito poi l’importanza di quel giorno.

In quel giorno del 1966 la città era cambiata.

Completame­nte e per sempre. (*Nato a Venezia, fotografo di fama internazio­nale, è Cavaliere alla Cultura)

Ero ragazzo, tutto quanto era avvolto da un silenzio irreale

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 ??  ?? Sopra e sotto due foto dell’archivio Arici dell’alluvione del 1966 A fianco, Graziano Arici, uno dei maggiori fotografi veneziani, con Josef Koudelka
Sopra e sotto due foto dell’archivio Arici dell’alluvione del 1966 A fianco, Graziano Arici, uno dei maggiori fotografi veneziani, con Josef Koudelka
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