Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il prefetto: «Io le dighe del Mose le avrei alzate»
Usare il Mose, per quanto incompleto? Zappalorto: «Sì, ma serve la cabina di regia». Nordio: «Ritardo colpa dei pm? No, di corruzione e burocrazia»
VENEZIA Alzare il Mose anche se incompleto, il prefetto Zappalorto dice: «Sì, ma serve una cabina di regia».
"Il commissario Ossola: «Il Mose sarà pronto nel 2021. Oggi poteva far danni peggiori»
«Se avessi avuto la possibilità di farlo, avrei alzato il Mose. Era una situazione di grande emergenza e, anche se le prove tecniche fatte in precedenza non erano andate al meglio, avrei alzato». Vittorio Zappalorto non scansa la domanda. Il punto interrogativo rivolto al prefetto veneziano, del resto, riempie teste e bocche di tutta Italia, e comprende tanto il commento popolare quanto voci di chi ha conoscenza vera del sistema difensivo in costruzione in laguna. Perché, mentre Venezia era investita da un picco di marea un’unghia sotto quello del ’66, la diga mobile da 5 miliardi e mezzo, voluta proprio per evitare che la catastrofe della «grande acqua» potesse ripetersi, non è stata attivata? La risposta l’ha data, due giorni fa, fa il commissario tecnico del Mose, Francesco Ossola: il sistema è in fase di collaudo e «dev’essere settato. Senza aver finito i test, il rischio è che l’onda di piena scavalchi le paratoie, creando danni alla città e alle barriere stesse».
Fine della storia? No, se da più parti si ritiene come, pur incompleta, la barriera potesse e dovesse essere alzata, due notti fa. Questione nuova ma già «antica»: all’indomani della piena del 29 ottobre 2018, picco a 156 centimetri, Roberto Linetti, allora provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto, disse di essere pronto ad alzare il Mose, di fronte a casi eccezionali. Il prefetto, un anno dopo, mostra di condividere quel pensiero, e non da solo. Cinzia Zincone, attuale reggente del provveditorato, pesa la situazione e aggiunge un sentimento di rammarico: «Le paratoie non si potevano sollevare, non nelle condizioni di non completamento attuali. La sicurezza è prioritaria, però i commissari del Consorzio
Venezia Nuova nel 2015 hanno firmato un contratto che li impegna a fare dei test e alzare le paratoie anche con acqua alta: prima o poi bisogna che comincino a farlo e dobbiamo fare tutti mea culpa per non essere ancora in grado».
Altro nodo. Anche volendo, nessuno avrebbe potuto attivare il Mose due notti fa: un soggetto con potere e responsabilità di alzare le paratoie non c’è e va nominato. Zappalorto ha ben presente il problema: «Non è possibile che sia il prefetto a dare il via libera al sollevamento della diga mobile. Va approvata quanto prima la cabina di regia che possa prendere in modo automatico queste decisioni, esistono meccanismi burocratici in cui la decisione arriva sempre. Il prefetto ha competenza su ordine e sicurezza ma interviene in situazione di emergenza complessiva». L’alta marea è un’«eccezionale normalità», che vuole procedure certe: al bottone rosso del Mose serve una mano che possa premerlo a ragion veduta.
La diga mobile, dicono i tecnici, sarà operativa il 31 dicembre 2021: 55 anni dopo l’«acqua granda». Di chi è la colpa? Da Treviso, Carlo Nordio, che da procuratore aggiunto di Venezia è stato titolare dell’inchiesta sul Mose, risponde a chi imputa il ritardo ai pm: «C’è chi ha accusato la magistratura di aver causato l’alluvione perché avrebbe bloccato i lavori. Cosa che non è vera: noi ci siamo limitati ad applicare la legge». Responsabili? Si cerchi altrove: «A rallentare le opere pubbliche – ripete Nordio - sono l’aspetto patologico della corruzione e l’aspetto burocratico. Quando fu commissariato il Consorzio Venezia Nuova, i commissari vennero da noi a chiedere se potevano o meno continuare il progetto. Abbiamo risposto che la magistratura non ha né il potere né il dovere di interferire, ma soprattutto abbiamo sollecitato affinché l’opera andasse avanti nel minor tempo possibile, nell’interesse della città e dei contribuenti. Più aumentano i ritardi più l’opera diventa costosa».