Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Dall’età dell’oro allo stallo Le «dighe mobili» dei politici
Sindaci e ministri, viaggio a ritroso fra i protagonisti dell’opera più controversa d’Italia
VENEZIA L’han chiamata «Apocalisse di San Marco». Ma non è bastata a placare le opposte partigianerie pro e anti Mose divise da decenni. Voci della politica. Ere geologiche diverse, da metà anni ’60 ad oggi. Quella politica che, tolto il tre volte sindaco di Venezia Massimo Cacciari, fortissimamente volle le paratoie mobili. Le immagini accostate del 4 novembre 1966 e del 12 novembre 2019 sono un déja-vu. Perfettamente sovrapponibili. Cos’è andato storto da allora?
Nel ’75 Ugo Bergamo aveva 24 anni e diventava consigliere a Ca’ Farsetti. «Con la legge speciale il centro storico era tutto un fervore di cantieri». «La colpa, un po’ è di Napoleone. Dopo la caduta della Serenissima - spiega il sindaco degli anni ruggenti ’75-’85 Mario Rigo - Venezia fu abbandonata a se stessa sino al tragico epilogo dell’acqua granda del ’66». Rigo, che per altro giusto lo scorso 4 novembre ha compiuto 90 anni ha le idee chiare: «Ciò che è accaduto nei giorni scorsi è del tutto naturale per il rapporto di Venezia con le acque alte». La Dominante trovò sempre modo di preservare la propria magnificenza poggiata sull’acqua. Il segreto fu la manutenzione. La stessa che si ritrovò solo dopo l’acqua granda. «Sì, Venezia era veramente ridotta male – ricorda Rigo – ma si mossero tutti i comitati stranieri. E poi la legge speciale mise a disposizione dei mezzi straordinari. Dopo dieci anni era una città diversa». Una fugace età dell’oro prima che all’orizzonte si delineasse il Mose. Cesare De Piccoli, potente vice sindaco dall’87 al ’90, ricorda nitidamente quando le alternative sul tavolo c’erano. La sua, in particolare, anni dopo, pareva avere qualche chance: «Nel 2001 ero per una terza posizione fra il Mose e “mettersi gli stivali” ma si sa che le terze posizioni perdono sempre. La mia alternativa era il Perla, acronimo di Portualità e riequilibrio lagunare. Ora guardo con tristezza alle occasioni perse».
L’infinito tira e molla istituzionale all’alba del nuovo secolo
Ai miei tempi, a Palazzo Chigi c’era un dipartimento intero dedicato a Venezia. Ormai invece si è perso il senso di responsabilità Paolo Costa Ex ministro ai Lavori Pubblici
"Cacciari Mi son trovato da solo a contrastare il progetto del Mose
L’errore dopo l’inchiesta del 2014, fu fermare tutto. I cantieri, soprattutto quelli subacquei non possono essere abbandonati Pietro Lunardi Ex ministro ai Lavori Pubblici
aveva un alfiere del «no» al Mose, Cacciari, filosofo e sindaco: «Mi sono trovato completamente solo a contrastare questo progetto criticissimo sotto l’aspetto tecnicoambientale».Grande accusatore del Mose anche il sociologo Gianfranco Bettin: «L’opera, non ancora in funzione, ha già dirottato le maree e ne ha aumentato la velocità». Fiero antagonista di Cacciari fu Paolo Costa, il cui destino si intrecciò con il Mose fin da quando era rettore a Ca’ Foscari e venne chiamato da Cacciari nella commissione di saggi da cui si dimise un anno dopo, nel ‘96 per diventare ministro ai Lavori Pubblici». A luglio ’98 la commissione si esprime per il sì ma ad ottobre Prodi cade e il nuovo esecutivo pullula di ministri contrari. Cacciari non si arrende e nomina una nuova commissione di saggi. L’impasse si sblocca col governo Amato (e nel mentre, Costa prende il posto di Cacciari a Ca’ Farsetti). L’allineamento dei pianeti è perfetto. Prima Berlusconi con la posa della prima pietra nel 2003, accanto a lui il governatore Giancarlo Galan che 10 anni dopo sarà coinvolto nello scandalo Mose. Ma nei primi
Duemila si battaglia ancora, con Prodi premier nel 2006 Cacciari chiede ancora una volta di rivedere la decisione. «Si vivacchia fino al disastro del 2014. - dice Costa - Poi con i commissari Anac si ferma tutto». La rabbia gonfia, amara, il veneziano stretto che straripa: «Ai me’ tempi Palazzo Chigi aveva un intero dipartimento che si occupava di Venezia! Si è perso il senso del ’66. Parli di Mose e automaticamente sei un ladro. E questo spiega perché, dopo il 2014, è stato accantonato. Disturbava, non lo voleva toccare nessuno». Giorgio Orsoni sibila: «Quand’ero sindaco non arrivava più una lira, il Consorzio si era appropriato di tutte le risorse». Mose non ancora in uso e forse insufficiente. L’ex ministro all’Ambiente Corrado Clini dice: «Bisogna immaginare un sistema aggiuntivo di difese». Dello stesso avviso il ministro ai Lavori Pubblici del 2003, Pietro Lunardi: «C’è il progetto di un diaframma in cemento intorno alla città». Lunardi rivendica d’aver impresso una svolta inserendo il Mose fra le tre opere di estrema urgenza dell’allora neonata legge obiettivo. «Poi la parola è passata al consorzio di imprese – spiega Lunardi –. E sono intervenuti i ben noti fenomeni di corruzione, indecente. L’errore fatale fu lì. Non si possono interrompere i cantieri subacquei, è pericoloso». Raccogliere i cocci della «Grande Retata» del 2014 toccò a Graziano Delrio. A quel punto, siamo nel 2015 - sono i tempi rottamati del governo Renzi - persino il ministero ha cambiato nome: alle Infrastrutture e Trasporti. «Cos’è andato storto a Venezia nella battaglia contro il mare? La prima causa è ovviamente il sistema di corruzione - dice Delrio -. Quando sono arrivato io avevamo commissariato, mancava l’ultima tranche di finanziamento, 200 milioni, che venne stanziata. E poi, tengo a ricordarlo, altri 265 milioni per la salvaguardia della città, un piano di rifinanziamento della legge speciale. Tanto che abbiamo presentato una nuova proposta di legge speciale. La faccenda è dare continuità alla manutenzione. Certo, il Mose… ricordo con chiarezza le previsioni dei miei tecnici: l’estate del 2018».