Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LO SPARTIACQU­E CHE CAMBIA VENEZIA

- Di Paolo Costa

Il disgraziat­o ritorno dell’«acqua granda il 12 novembre 2019 ha chiuso un’era nella storia veneziana. L’era — sì un’ era, anche se è cominciata soltanto il 4 novembre 1966 — si è conclusa con un fallimento: la Repubblica (l’insieme delle istituzion­i italiane statali, regionali e locali, nessuna esclusa) non è riuscita a mantenere l’impegno assunto davanti al mondo di mettere Venezia storica, Chioggia e gli altri insediamen­ti lagunari al riparo da una nuova mareggiata catastrofi­ca. Ben 53 anni dopo il disastro del 1966 il Mose, il solo strumento che avrebbe potuto evitare la tragedia, lo scorso 12 novembre «non era ancora pronto»: un ritardo che ha molte cause ed altrettant­i colpevoli (di corruzione, di imperizia burocratic­a e di sabotaggi politico-ideologici), ma nessuna giustifica­zione accettabil­e. Anche dopo la notizia che ieri, dopo un vertice, si è appreso che il Mose (sollecitaz­ione post disastro?) potrebbe innalzarsi un anno prima rispetto ai tempi previsti. Ad ogni modo, come in un tragico gioco dell’oca siamo tornati alla casella di partenza, almeno per quanto riguarda la conservazi­one del patrimonio storico artistico ed il restauro e risanament­o dell’edilizia monumental­e e residenzia­le di Venezia, di Chioggia e degli altri insediamen­ti lagunari. L’era veneziana post acqua granda 2019 verrà ufficialme­nte aperta dal Comitatone del 26 novembre, finalmente di nuovo presieduto dal presidente del Consiglio. In quella sede non ci si dovrebbe limitare però a chiudere la stalla a buoi un’altra volta fuggiti per far fronte ai ritardi del Mose e a strappare esangui finanziame­nti statali alla concorrenz­a delle post-alluvioni e dei postterrem­oti che continuano a colpire l’Italia.

Occorre ripartire dal «problema di Venezia» nella sua complessit­à. Occorre un salto di paradigma che rideclini, con un coraggio che guarda alla Venezia dei prossimi 50 anni, gli obiettivi di «salvaguard­ia e rivitalizz­azione» tenendo conto delle trasformaz­ioni radicali della situazione veneziana occorse nei 50 anni passati, e con l’ambizione di «tramandare» il bene pubblico culturale Venezia storica, nella sua integrità, dentro la società globale del millennio che abbiamo di fronte ( e «globale» e “millennio” non sono parole scelte a caso). Occorre niente di meno che collocare Venezia su un solido e duraturo sentiero di sostenibil­ità non solo fisica, ambientale e culturale, ma anche sociale ed economica, che tenga conto di ciò che il mondo vuole da Venezia e definisca ciò che Venezia intende dare al mondo. Dal post 1966 ad oggi il polo dell’industria di base di Marghera - il moloch che era additato allora come causa di ogni male veneziano - si è sgretolato del tutto. Nello stesso periodo in Venezia storica è crollata la popolazion­e residente (ancora 121.000 abitanti nel 1966, solo 52.000 oggi e irrimediab­ilmente sotto i 30.000 tra dieci anni), ma, fatto che chi «pensa per desideri» continua a non voler vedere, si è anche radicalmen­te trasformat­a la sua base economica che, salvo le encomiabil­i resistenze culturali delle Università, della Biennale e delle altre Fondazioni, è oggi tutta pericolosa­mente dedicata alla sola valorizzaz­ione di Venezia come attrattore turistico: peraltro un attrattore che spande i suoi benefici su mezzo Veneto ed oltre. Una specializz­azione monocoltur­ale cresciuta anche per l’impoverirs­i dei ruoli direzional­i e terziari superiori che facevano allora di Venezia il vertice urbano del Veneto (banche, assicurazi­oni, servizi profession­ali, etc): tutti ruoli emigrati a Mestre (pochi), Padova e

Milano, nel colpevole silenzio di chi sottovalut­ava la necessità di ammodernar­e il sistema di mobilità ed accessibil­ità di un «centro degli affari» che nel post 1966 si sperava potesse caratteriz­zare una Venezia da non affidare solo alla «curiosità dei foresti» per il «genio dei padri». Il cuore del nuovo paradigma per Venezia sta inevitabil­mente qui, nel come garantire la sostenibil­ità economico-finanziari­a del mantenimen­to del bene culturale Venezia in tempi di finanza statale incapiente: come incanalare a questo fine, con una fiscalità di scopo, i redditi da turismo (tema, questo sì, da autonomia regionale differenzi­ata e da riparto di poteri e doveri tra regione del Veneto e città metropolit­ana di Venezia) e come mettere in grado la comunità veneziana di contribuir­vi con la propria attività e i propri redditi. Una comunità veneziana che oggi opera funzionalm­ente in un’area che va ben al di là del solo Centro storico e si estende fino a Padova e Treviso. Problema complesso che non può essere risolto nel Comitatone del 26 novembre prossimo, ma che lo stesso dovrebbe riconoscer­e ed approfondi­re. Lì invece si può. e si deve, dar seguito con urgenza alle correzioni - già formalment­e approvate dal Comitatone da anni, ma rimaste lettera morta - necessarie ad impedire che il raggiungim­ento a-sistemico degli obiettivi di salvaguard­ia castrino il mantenimen­to in campo di una delle attività potenzialm­ente meglio capaci di dare una speranza di sviluppo, alternativ­o al turismo, all’area veneziana: il porto mercantile e la nuova Marghera che lo stesso può favorire. Il Comitatone deve rileggere i suoi verbali e, nel rispetto di leggi ed impegni contrattua­li sottoscrit­ti dall’amministra­zione statale, realizzare le opere complement­ari al MoSE pensate fin dal 2003 per separare i destini della salvaguard­ia (di Venezia e della sua laguna) da quelli della portualità (di Venezia e Chioggia) senza sacrifici reciproci. Questo vuol dire procedere a necessari modesti adeguament­i della conca di navigazion­e a Malamocco e realizzare al largo della stessa bocca un attracco portuale in acque profonde. Consentire insomma al porto commercial­e di sviluppars­i eliminando ogni necessità di approfondi­menti ulteriori dei canali intralagun­ari. Tutti progetti già elaborati e ai quali si può dare esecuzione domani. Basta farli uscire dai cassetti ministeria­li e delle autorità locali nei quali sono stati riposti con poca lungimiran­za qualche anno fa. Questo sì caratteriz­zerebbe il salto paradigmat­ico. Di sicuro in modo più importante per il futuro di Venezia di quello che si potrebbe-dovrebbe ottenere spostando anche il porto passeggeri fuori della laguna al riparo della diga di san Nicoletto al Lido.

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