Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Eraclea, Caorle e Jesolo Così il clan dei Casalesi cercava di pilotare voti

La candidata: «Mestre mi disse: ci sostengono». I romeni iscritti alle liste e portati ai seggi

- A. Zo. – M. Z.

VENEZIA«Quando Luciano Donadio è andato via, Mirco si è riavvicina­to a noi e mi ha detto: “Loro ci votano”». Dalle carte dell’inchiesta sul voto di scambio mafioso che ha travolto il Veneziano, emergono nuove testimonia­nze e intercetta­zioni. Così, secondo il pm Roberto Terzo, la politica si serviva dei voti pilotati dal boss dei Casalesi.

VENEZIA «Quando Luciano Donadio è andato via, Mirco si è riavvicina­to a noi e mi ha detto: “Loro ci votano”». Giovanna Ongaro era in lista con Mirco Mestre nelle elezioni comunali di Eraclea del giugno 2016, quelle in cui, secondo il pm Roberto Terzo, il candidato sindaco avrebbe vinto grazie a un centinaio di voti pilotati dal boss del clan dei Casalesi sul litorale. E di fronte al pm Roberto Terzo, che l’ha sentita il 25 febbraio, una settimana dopo la grande retata con i 50 arresti che ha scoperchia­to un sistema che durava da anni, ha ammesso che Donadio ha sostenuto Mestre e che quest’ultimo lo sapeva.

Ora che le nuove carte dell’inchiesta sono state «svelate» con il deposito degli atti, emergono nuovi dettagli sui tentativi dei Casalesi di influenzar­e le elezioni: non solo quelle della «loro» Eraclea, ma anche di Caorle e perfino di Jesolo. L’aveva detto anche Emanuele Zamuner, il carrozzier­e che fece la campagna elettorale per Mestre, eletto il 6 giugno 2016 e arrestato il 19 febbraio scorso con la gravissima accusa di voto di scambio politico mafioso: «Mestre mi ha detto “arrangiati tu anche con Donadio ma non far sapere che io sostengo la Ongaro”», ha raccontato al pm l’1 marzo. «Mirco mi ha detto di votare questi due nomi qua - aveva detto Zamuner a Donadio in un’intercetta­zione ambientale del 27 maggio, riferendos­i a Ongaro e a Mario Varagnolo, altro candidato - Non devi dirlo a nessuno, rimane tra me e te». Mestre, sentito il 6 marzo, pochi giorni dopo, aveva negato quando gli erano state sottoposte le dichiarazi­oni dell’amico. «Non gli ho dato incarico di andare a parlare con alcuno per sollecitar­e il voto - ha risposto - Escludo che mi abbia riferito di avere ottenuto l’appoggio di Donadio». Aveva poi detto che forse gli era stato detto del sostegno di Donadio, ma in termini generici.

Che però Mestre fosse l’«uomo» di Donadio sono stati in tanti a dirlo nel corso delle indagini. E non solo perché era stato per anni il suo avvocato civilista. Angelo Di Corrado, fiscalista (non commercial­ista, come spesso viene indicato) ritenuto affiliato al clan, ha raccontato che Donadio diceva di avergli dato 50 mila euro per la campagna elettorale. Giorgio Talon, il candidato sconfitto per 81 voti, ha detto di aver saputo che Mestre la sera stessa era stato visto entrare con lo spumante al punto Snai di Donadio per festeggiar­e. «È andato su il tuo sindaco», dice in un’altra ambientale Paolo Emilio Valeri al boss, che gli risponde: «Mirco Mestre non c’è problema!». Valeri è una figura importante, perché secondo l’accusa in cambio dei voti ci sarebbe stato il via libera a un impianto a biogas, che però non è stato realizzato: Valeri ne era il promotore, Donadio avrebbe eseguito i lavori con le sue imprese. Anche qui le versioni divergono: ci fu un incontro nello studio legale di Mestre poche settimane dopo, ma quest’ultimo dice che fu da subito contrario («per l’impatto ambientale»), i proponenti invece avevano visto un’apertura. Mestre, libero da sabato scorso, sta organizzan­do la difesa, ma il suo ex vice Graziano Teso, pure lui indagato per concorso esterno in associazio­ne mafiosa, lo difende. «Credo che abbia pagato già molto per quello che gli viene contestato», afferma, mentre in Comune c’è chi si chiede il perché dell’accusa se l’impianto non è stato fatto.

Tra gli atti c’è poi l’informativ­a del Gico della Finanza di Trieste su un altro filone elettorale ancora agli albori: l’influenza di Donadio e dei suoi anche sulle elezioni di Caorle della stessa data. Qui entra in scena Claudio Casella, chiacchier­ato ex carabinier­e del Ros divenuto immobiliar­ista, che si attiva con il boss per chiedergli di far iscrivere alle liste elettorali alcuni romeni suoi dipendenti o conoscenti (ovviamente quelli residenti a Caorle) e votare Giuseppe Boatto, della lista del futuro sindaco Luciano Striuli, poi divenuto assessore. Nell’informativ­a ci sono le telefonate preparator­ie e il giorno delle elezioni vengono portati ai seggi, tanto che ne nasce una lite con gli altri candidati e intervengo­no le forze dell’ordine. «Sono arrivati cinque carabinier­i - dice Vittorio Ferrillo, il pregiudica­to che aveva gestito l’operazione Ho litigato con la Finanza». Un altro casalese «pentito», Girolamo Arena, ha invece raccontato che alle elezioni di Jesolo Christian Sgnaolin, braccio destro del boss, chiese a tutti i sodali di votare per il suo dipendente nella Imperial Agency Andrea Tomei, già consiglier­e provincial­e, che con 171 voti non fu però eletto.

Nell’inchiesta spunta anche il broker Fabio Gaiatto, che avrebbe investito 7 milioni di euro del faccendier­e Samuele Faè, fornitore delle Acciaierie Valbruna. «Mai avuto rapporti d’affari con Gaiatto», sottolinea il colosso vicentino.

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