Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Marcianum, solo Galan condannato
Il nodo: 24 milioni spostati dal disinquinamento al restauro del Seminario. Assolto Chisso
Le strade di Giancarlo Galan e Renato Chisso, per una volta, si dividono: nel processo contabile sui fondi del Marcianum l’ex governatore è stato infatti condannato a risarcire alla Regione 764 mila euro, mentre l’ex assessore regionale, a cui era contestata la cifra di 510 mila euro, è stato assolto. Tutto nasce dai 24 milioni destinati al disinquinamento che Galan spostò sul restauro del Seminario del Patriarcato, all’epoca retto da Monsignor Angelo Scola.
Sono stati legati per buona parte della loro vita politica, personale e anche giudiziaria: il primo è stato governatore del Veneto, il secondo il suo assessore di punta, alle Infrastrutture; entrambi coinvolti nell’inchiesta Mose, uno ha patteggiato 2 anni e 10 mesi, l’altro 2 anni e mezzo; e anche la Corte dei Conti ha stabilito che dovranno pagare oltre 5 milioni di euro all’erario per aver danneggiato l’immagine di Palazzo Balbi. Ora però, le strade di Giancarlo Galan e Renato Chisso, per una volta, si dividono: nel processo contabile sui fondi del Marcianum Galan è stato infatti condannato a risarcire alla Regione 764 mila euro, mentre Chisso, a cui era contestata la cifra di 510 mila euro, è stato assolto.
Briciole, visto che tutto era partito dal dirottamento – ritenuto «illecito» dai giudici – di 26 milioni di euro della legge speciale dagli interventi di disinquinamento e messa in sicurezza idraulica del territorio al restauro del Seminario patriarcale, che avrebbe poi dovuto ospitare lo Studium Marcianum, ambizioso e costoso progetto dell’allora Patriarca Angelo Scola. Ma la procura della Corte dei Conti si è mossa dopo lo scandalo delle tangenti e degli arresti, quando ormai era tardi, visto che le delibere risalivano al 2004 e al 2005. E si è così riusciti ad «attaccare» solo gli ultimi pagamenti, risalenti al 2013, per un totale di un milione e 274 mila euro: gli altri erano ormai prescritti, visto che la Corte può risalire indietro per 5 anni al massimo.
Il collegio contabile non ha avuto dubbi sul merito. «Si è verificata una palese violazione della normativa in materia, sia sul piano del riparto delle competenze tra Stato, Regione ed enti locali, sia con riferimento alle competenze attribuite a Consiglio e Giunta regionali». Palazzo Balbi aveva infatti già destinato 26 milioni a svariate opere – un acquedotto a Cavallino, un depuratore a Chioggia, una vasca di prima pioggia a Mestre e lavori alla rete fognaria del Comune di Venezia – ma Galan, d’accordo con Scola, decise di dirottarli al Seminario. Il problema è che la legge speciale per Venezia attribuiva alla Regione la competenza solo sugli interventi di disinquinamento e di prevenzione dell’inquinamento, mentre i restauri dei privati avevano un iter del tutto diverso: i fondi arrivavano al Comune e bisogna partecipare a dei bandi per averli. Inoltre a decidere le opere era il consiglio regionale, non la giunta.
Il blitz di Galan avvenne con due delibere da lui presentate in giunta: una il 12 novembre 2004, che revocava i 26 milioni, l’altra l’11 febbraio 2005, che li riassegnava al Marcianum (24 milioni) e a un restauro della Comunità ebraica (gli altri due). Tanto che inizialmente la procura aveva «indagato» tutti gli assessori, salvo poi scagionarli meno uno: Renato Chisso, appunto, che aveva la delega sulle politiche per l’ambiente.
Ma i giudici hanno accolto la tesi dell’avvocato Antonio Forza, e cioè che Chisso non avesse partecipato direttamente alla redazione di quell’atto e nemmeno ai discorsi preparatori. Con l’assoluzione, gli è stato anche riconosciuto il pagamento di 4 mila euro di spese legali dalla Regione.
Il cerino è restato dunque nelle mani di Galan, che peraltro è rimasto contumace. «La sua condotta è palesemente illecita, avendo proposto un atto in violazione di norme di legge», scrivono i giudici. Cosa che lui ben sapeva, tanto che per farla passare aveva fornito «informazioni inesatte» ai colleghi di giunta, paventando la decadenza dei fondi. Avendo però il pm Giancarlo Di Maio chiesto per lui la condanna a 764 mila euro, i giudici non gli hanno potuto contestare l’intera cifra.