Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Un pentito: Messina Denaro controlla due cantine
Secondo un pentito di mafia l’uomo più ricercato d’Italia avrebbe messo le mani su due vinicole trevigiane per riciclare denaro. Gli inquirenti sono perplessi: la fonte è poco attendibile
VENEZIA Un nome e due cognomi che fanno paura. Il latitante più ricercato d’Italia, anche se sul suo ruolo nell’attuale Cosa Nostra, di cui era divenuto il leader dopo l’arresto di Totò Riina, non tutti concordano. Matteo Messina Denaro, 57 anni, latitante da quando ne aveva 31, potrebbe essere passato anche per il Veneto, nascondendosi in una cantina a Campodipietra, frazione di Salgareda; e nel Trevigiano avrebbe anche avuto affari in un paio di cantine. A riferirlo è Emanuele Merenda, 40enne siciliano di Patti, ex mafioso poi pentito.
Un nome e due cognomi che fanno paura. Il latitante più ricercato d’Italia, anche se sul suo ruolo nell’attuale Cosa Nostra, di cui era divenuto il leader dopo l’arresto di Totò Riina, non tutti concordano. Matteo Messina Denaro, 57 anni, latitante da quando ne aveva 31, potrebbe essere passato anche per il Veneto, nascondendosi in una cantina a Campodipietra, frazione di Salgareda; e nel Trevigiano avrebbe anche avuto affari in un paio di aziende vitivinicole. A riferirlo è Emanuele Merenda, 40enne siciliano di Patti, ex mafioso poi pentito, in un paio di interrogatori resi il 2 e il 9 aprile del 2014 al pm Roberto Terzo. «Centineo mi ha detto che ha ospitato Matteo Messina Denaro per quattro o cinque giorni a Campodipietra. La facciata è di colore giallino», ha detto Merenda. E in un altro passaggio cita sempre Vincenzo Centineo e un gruppo di persone a lui affiliate, affermando che riciclano denaro di estorsioni e usure in due cantine. «Queste appartengono in realtà a Matteo Messina Denaro, anche se intestate a prestanome».
Ma chi è Centineo? E’ un siciliano di 69 anni che da tempo vive in Veneto: prima a Salgareda, ora a Ceggia. Secondo il racconto di Merenda sarebbe un boss dell’usura e dell'estorsione, con uomini che gestiscono il pizzo anche a Treviso e Padova, e legato a Luciano Donadio, il boss del clan dei casalesi di Eraclea. E infatti quei due verbali sono finiti nel fascicolo del pm Terzo, che un paio di settimane fa ha chiuso le indagini: Centineo è accusato non di essere affiliato al clan, ma di favoreggiamento di Donadio, a cui avrebbe riferito proprio di alcune accuse nei suoi confronti contenute nei verbali resi da Merenda alla Dda di Trieste in un altro procedimento. Il suo avvocato Guido Galletti ne disegna invece un profilo del tutto diverso: «Centineo è incensurato e non mi risultano inchieste per associazione mafiosa, nemmeno per concorso esterno - afferma - Le accuse di Merenda non sono state credute da nessuna procura, tanto che Centineo non è mai stato interrogato su questo: né da Venezia, né da Trieste, né da Palermo». Il pm Terzo l’aveva convocato per il caso Eraclea, ma lo scorso 30 ottobre si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il «giallo» della presenza di Messina Denaro in Veneto passa infatti tutto da qui: Merenda è credibile? In procura a Venezia più di qualche dubbio c’è stato, ma le dichiarazioni sono state trasmesse a Palermo per competenza. Sono però passati cinque anni e mezzo da quel verbale e non pare che la caccia al latitante abbia registrato dei progressi. D’altra parte lo stesso Galletti ricorda che proprio di recente si è chiuso quel procedimento della Dda di Trieste di cui sopra, in cui i giudici non hanno creduto a Merenda nemmeno quando accusava se stesso: il pentito aveva detto di aver dato fuoco alla villa di due imprenditori insieme a Centineo (condannato «solo» per tentata estorsione) e altri, ma sono stati tutti assolti e le sue dichiarazioni trasmesse alla procura con l’ipotesi di falsa testimonianza. E anche Attilio Vittorio Violi, con il quale Merenda dice di aver collaborato per chiedere il «pizzo» a mezza Marcon, dove entrambi risiedevano, lo ha sconfessato. «Non lo conosco», ha detto ai giudici, lui che è stato condannato a 23 anni per narcotraffico, non per estorsione.
Non sono le uniche accuse contestate tra le nuove indagini sui casalesi. Per esempio il fiscalista Angelo Di Corrado ha detto al pm Terzo di aver raccolto nel carcere di Tolmezzo le confidenze del broker-truffatore Fabio Gaiatto, che gli avrebbe rivelato di aver nascosto i soldi in conti croati tramite il suo commercialista. «Gaiatto mi ha incaricato di querelare Di Corrado», dice l’avvocato Galletti. Ieri per Gaiatto si è aperto anche il processo di Trieste, dov’è lui stesso accusato di estorsione mafiosa con alcuni campani, che proseguirà in febbraio.