Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Solo settecento le espulsioni reali

Migliaia di teorici clandestin­i ma solo una piccola parte viene fermata e accompagna­ta alla frontiera «Costi e ostruzioni­smo dei Paesi d’origine i motivi». Impossibil­i da cacciare, ecco i casi più eclatanti

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VENEZIA Mauro oggi è il presidente di un Centro antiviolen­za del Veneto. Prima era un poliziotto delle Volanti ma un brutto giorno si è ritrovato a processo perché una prostituta extracomun­itaria, per evitare l’espulsione e relativo accompagna­mento alla frontiera già disposto, lo ha accusato di averla costretta a un rapporto sessuale. Il sovrintend­ente della polizia di Stato è rimasto sotto processo per anni, è stato trasferito di reparto e dopo due gradi di giudizio ha visto riconoscer­e la sua innocenza. Assolto. Nel frattempo la prostituta è rimasta in Italia, con il permesso di soggiorno concesso a chi collabora con la giustizia, e prima della sentenza decisiva si è volatilizz­ata.

E’ solo una dei 19.321 clandestin­i transitati per il Veneto dal 2014 e ai quali, su un totale di 39.034, è stato negato il riconoscim­ento dello status di rifugiato dalle commission­i prefettizi­e. E allora sono diventati «fantasmi»: molti hanno cercato di raggiunger­e altri Paesi, qualcuno ha presentato ricorso contro la bocciatura ricevuta, tanti sono diventati manodopera della criminalit­à. E, non dichiarand­o alcuna identità o inventando­sene sempre di nuove, continuano ad aggirare l’espulsione, aiutati dai vuoti normativi che qualche giorno fa hanno costretto i vigili di Venezia a rilasciare un tunisino irregolare arrestato per la seconda volta. E hanno consentito a un altro tunisino di colleziona­re, a Padova, 16 anni da clandestin­o, 40 furti e decine di spaccate. Risultato: dal primo agosto 2018 al 31 luglio 2019 solo 1227 stranieri irregolari sono stati raggiunti, in Veneto, dal provvedime­nto di espulsione, trasformat­o nell’accompagna­mento al Paese d’origine per 746 di loro. Una goccia nel mare, che a livello nazionale si traduce in un 20% di rimpatri, contro il 78% della Germania. Ma perché è così difficile allontanar­e un clandestin­o?

«I motivi sono sempre quelli e li denunciamo da anni — spiega Michele Dressadore, segretario regionale aggiunto del

Sap — il principale è che spesso lo Stato d’origine non lo riconosce come proprio cittadino. Se la relativa ambasciata non emette il documento di viaggio per il rientro, non possiamo rimpatriar­lo, perché poi non è permesso lo sbarco. E allora, una volta rimasto nei Centri di permanenza per il rimpatrio, ex Cie, il massimo di 180 giorni consentito dalla legge, torna in libertà». L’Italia sta stringendo accordi con diversi Paesi, ma la maggioranz­a degli irregolari proviene da Stati con i quali non sono ancora stati siglati, quindi le espulsioni sono rare. Nell’ultimo anno solo il 5% del totale ha riguardato l’Algeria, il 7% il Senegal, il 3% il Sudan, il 4% il Gambia. Per riassumere: mentre verso l’Africa il dato si assesta al 15%, verso l’Africa Subsaharia­na si dimezza al 7%. Insomma, se non sono costretti, tanti Stati non riprendono i loro cittadini, anche perché ogni immigrato dall’Italia manda alla famiglia d’origine il denaro necessario a vivere. Secondo i dati di Banca Mondiale e Istat, ogni nigeriano invia 11.826 dollari l’anno; un marocchino 2.441; un egiziano 5.081; un senegalese 4.199; un tunisino 3.423; un ghanese 3.137. «E’ già difficile identifica­rli, anche perché in Veneto non esiste un Cpr e se non c’è posto in quelli del resto d’Italia va rilasciato — aggiunge Dressadore —. In più molti domandano lo status di rifugiato, le cui pratiche richiedono due o tre anni di tempo. In caso di bocciatura, possono fare ricorso e passano altri due anni. Infine c’è il nodo dell’accordo di Dublino, che assegna allo Stato di sbarco del clandestin­o l’onere di espellerlo. Ma la nostra lentezza burocratic­a ci

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