Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Associazio­ne a delinquere, i comitati: inchiesta anche su Bpvi

Dopo l’esito in Veneto Banca, pronto l’esposto a Vicenza. In tremila a Bassano per i rimborsi

- Di Federico Nicoletti

BASSANO Ex popolari, dopo la svolta in Veneto Banca i comitati presentano una denuncia per mettere in moto l’inchiesta di associazio­ne a delinquere per truffa anche in Popolare di Vicenza. Il passaggio era ovvio, dopo la decisione con cui la procura di Treviso ha chiuso le indagini sul secondo filone d’inchiesta. Mettendo l’ex ad, Vincenzo Consoli, e altri cinque dirigenti al centro di una rete che, secondo l’accusa, era finalizzat­a a piazzare in maniera truffaldin­a (la procura parla di almeno duemila casi per 107 milioni di euro) le azioni dell’ex popolare a prezzi gonfiati. Il passo è stato ufficializ­zato, ieri, al palasport di Bassano, davanti a oltre tremila persone, nell’assemblea dell’associazio­ne «Noi che credevamo nella Bpvi», capitanata da Luigi Ugone, affiancato dal Coordiname­nto Don Torta di Andrea Arman. Assemblea che «sdogana», dopo mesi di dura opposizion­e, la presentazi­one delle richieste di rimborso al Fondo indennizzo azioni, scongeland­o le prime 1.500 domande già pronte.

Ma il prologo della giornata va alle questioni giudiziari­e, in scia a Treviso. Su cui nei prossimi giorni l’avvocato Francesco Ternullo, uno dei legali a cui è collegata l’associazio­ne, tornerà alla carica su Bpvi, presentand­o un esposto-denuncia in procura a Vicenza che chiede un’indagine-fotocopia a quella giunta al termine a Treviso su Veneto Banca. «I fatti sono gli stessi - dice senza tanti termini Ternullo -. Non c’è motivo perché le cose non vadano trattate allo stesso modo». Spiegazion­e puntuale di quanto viene annunciato dal parquet del palasport: «Treviso ha ravvisato una truffa generalizz­ata, cosa che avrebbe dovuto fare anche Vicenza», dice Arman, annunciand­o la denuncia in arrivo.

In un palasport ancora pieno, segno che la questione delle azioni azzerate e dei rimborsi è tutt’altro che archiviata. Così come non mancano i politici in prima fila, specie leghisti. Perché tremila persone sono tante, soprattutt­o se in primavera si vota alle regionali. Ugone salva il governator­e Luca Zaia: «In tanti dicono che non ha fatto niente. Ma ha messo a disposizio­ne i soldi per costituirs­i parte civile. Ditemi chi altro l’ha fatto». Certo, il clima è tutto diverso dall’assemblea dello scorso anno a Vicenza, il 9 febbraio, con i due vicepremie­r Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ugone fa capire che il filo rosso con i due è stato decisivo: «Hanno messo il loro peso politico per smussare gli angoli nella trattativa».

E racconta l’aneddoto della telefonata con Salvini e Di Maio che bloccò il testo del decreto legge con l’ultima versione corretta del Fondo, lo scorso aprile, dopo la trattativa con l’Europa. Il 5 aprile il premier, Giuseppe Conte, convoca le associazio­ni con il ministro del Tesoro, Tria, sul nuovo decreto. Ma Ugone e Arman si mettono di traverso sui tetti di reddito e patrimonio. Conte tira dritto e porta il testo in consiglio dei ministri il giorno dopo. «Ricevo una telefonata da Salvini e Di Maio - racconta Ugone -. Erano in consiglio dei ministri dove avevano bloccato il provvedime­nto e mi passano Conte. ‘Lei si rende conto che sta bloccando un consiglio dei ministri?’, mi dice. ‘E lei si rende conto che sta facendo un danno alla mia gente?’, gli replico.‘Ma sentite come mi sta rispondend­o?’ dice lui agli altri due. ‘Se non ascoltiamo chi riempie le piazze e i palasport abbiamo sbagliato tutto’, gli rispondono. Poco dopo mi manda un sms un giornalist­a sotto Palazzo Chigi: è successo qualcosa, Tria se n’è andato inc...».

Certo, lo schema finale del rimborso del 30% con tetto a centomila euro è una mezza delusione. Ugone non lo nasconde ma rivendica comunque l’esito: «Siamo arrivati dove dicevano non saremmo mai giunti. Il rimborso c’è, tanto o poco che sia. E quei soldi sono nostri, perché lo Stato ha cancellato il diritto di far causa con il decreto di liquidazio­ne». Così, dopo il braccio di ferro con Consap sui malfunzion­amenti della piattaform­a per presentare le domande, anche dalle associazio­ni più dure arriva il via libera a presentare le richieste. Nonostante non tutto sia risolto: «Intesa è in ritardo di 90 giorni oltre i 30 concessi per rendere disponibil­i i documenti», dice l’avvocato Andrea Filippin. «La Consap sta lavorando male. Ma questo non ci può fermare dal far le domande. Quel miliardo e mezzo deve tornare nelle tasche di chi si era fidato delle banche - aggiunge Ugone -. Le domande vanno presentate entro il 18 aprile. Anche senza documenti. Chiediamo i soldi».

Le associazio­ni puntano soprattutt­o sulla delibera che individua le tipizzazio­ni, i casi tipici di violazione massiva degli obblighi di diligenza delle banche, che permettono ora di presentare le domande anche per chi supera i tetti di reddito, 35 mila euro, di e patrimonio, centomila. «Noi che credevamo» annuncia che metterà sul proprio sito documenti-tipo, come il comunicato di Banca d’Italia del 27 ottobre 2015, che chiariva quanto fatto su Bpvi, utile per rientrare nella tipizzazio­ne sui prezzi delle azioni. Oltre a un team di esperti a prezzi «politici». La partita rimborsi entra nella fase finale

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