Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Rogo a Ecoricicli l’ipotesi della difesa «Incendio doloso indagini incomplete»
«La dinamica dell’incendio non è quella ipotizzata dall’accusa. Altrimenti non si spiega come si sia propagato sugli pneumatici all’esterno senza lasciare tracce sul nastro di gomma che li collegava all’interno. L’unica spiegazione è che sia stato un incendio doloso». Per Alfio Pini, ex comandante dei vigili del fuoco di Venezia e ora consulente dei tre dirigenti di Ecoricicli accusati per l’incendio del 7 giugno 2017 all’impianto di Fusina, non è vero che le fiamme sono scoppiate dal trituratore di rifiuti, dove secondo il pm Andrea Petroni sono finiti dei materiali ferrosi vietati dal manuale, a causa di una cattiva selezione degli operai. «Non sono state trovate tracce di combustione e comunque il problema del metallo riguardava la possibilità di danneggiare il macchinario, non il rischio di incendi», ha spiegato Pini, interrogato dall’avvocato Domenico Giuri, che difende l’ad Vittorio Salvagno, il direttore operativo dell’impianto Alessio Bonetto e il responsabile del servizio di protezione e prevenzione Roberto Ardemagni. L’ex comandante ha anche criticato il lavoro dei suoi ex colleghi che hanno eseguito le indagini: «E’ stata omessa la raccolta dei campioni, che avrebbe consentito di capire se sono stati usati degli acceleranti», ha spiegato. Pini ha poi affermato che l’impianto aveva le autorizzazioni in regola, chieste alla Città metropolitana, mentre per la procura non aveva il certificato antincendi. Ha poi smentito che fosse pieno di rifiuti oltre il limite autorizzato: c’era solo un po’ di plastica in più perché a causa dell’incendio non si era potuto spostarla quel giorno. (a. zo.)