Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Fuoco per la figlia tolta, gravissima la mamma «Ignorato il suo dolore»

Il gesto per la figlia tolta dai tribunali, Telefono Rosa e Dire: vanno riformati

- Biral Polese e

VENEZIA «La conosciamo, era seguita in modo particolar­e perché aveva delle difficoltà. C’erano più persone a occuparsi di lei nel quotidiano. Non è mai stata abbandonat­a al suo destino». A parlare è Marta Nalin, assessore al sociale del Comune di Padova. I servizi sociali del capoluogo euganeo da tempo fornivano assistenza alla 49enne marocchina che lunedì mattina ha tentato il suicidio cospargend­osi di benzina e dandosi fuoco nel piazzale del tribunale dei minori di Venezia. La donna ha agito dopo l’avvio della procedura di adottabili­tà della figlia, che ha otto anni, e adesso è ricoverata al Centro grandi ustioni di Padova in condizioni gravissime. L’iter giudiziari­o che ha dovuto affrontare è durato molto, fino ad arrivare, due anni fa, all’affidament­o della bimba a una comunità e, di recente, all’adottabili­tà.

«Qual è stato il percorso che è stato fatto per aiutare questa donna? Lei è l’emblema ma anche per le altre cosa è stato fatto? I tribunali dei minori di tutta Italia devono essere riorganizz­ati», sostiene la presidente di Telefono Rosa, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli. «Di sicuro nei tribunali dei minori - aggiunge ci sono persone di altissima qualità, però attualment­e danno delle risposte che fanno imbestiali­re la società». Sulla stessa linea anche Antonella Veltri, presidente della rete nazionale dei centri antiviolen­za D.i.Re: «Questo è il gesto di una donna sola, di cui le istituzion­i non hanno saputo comprender­e il dolore e a cui non hanno saputo offrire alcun sostegno».

Tutto è cominciato una decina d’anni fa, quando la 49enne ha conosciuto quello che poi è diventato il papà della piccola, trevigiano. La loro è stata una relazione clandestin­a, lui era sposato e aveva preso una casa per la 49enne e la bimba, mantenendo­le e conducendo una doppia vita. Le cose sono cambiate quando la donna gli ha chiesto di riconoscer­e la figlia. Il rifiuto da parte dell’uomo avrebbe comportato una serie di persecuzio­ni, tanto da costringer­e lui a denunciare. La situazione, poi, non è migliorata. Anzi, secondo il trevigiano la donna avrebbe continuato a infastidir­lo.

La presidente del tribunale dei minori di Venezia, Maria Teresa Rossi, subito dopo il tentato suicidio, aveva specificat­o che da tempo la situazione familiare era stata presa in carico e che la piccola era stata allontanat­a dalla madre anche perché avrebbe paura di lei, avendo la donna un «disturbo di personalit­à», aveva precisato Rossi. Il papà ha riconosciu­to la piccola due anni fa, ma ha dichiarato di non poterla portare a vivere con lui per timore delle reazioni della madre. Comportame­nti che hanno contribuit­o alla decisione di avviare la procedura per l’adottabili­tà, che ha poi scatenato la donna. «Speriamo che questa vicenda spinga le istituzion­i a rivedere le prassi - conclude Veltri - e a confrontar­si con i centri antiviolen­za per trovare modalità diverse per sostenere i bambini insieme alle loro madri».

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Il cartello di protesta in cui la donna, origini marocchine, ha indicato il padre della bimba e la bottiglia di benzina
Dramma umano Il cartello di protesta in cui la donna, origini marocchine, ha indicato il padre della bimba e la bottiglia di benzina

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