Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Haber «Commesso viaggiatore» al Verdi di Padova
«Morte di un commesso viaggiatore» in scena da mercoledì al Verdi di Padova Nel cast diretto da Leo Muscato anche Alvia Reale. I nervi scoperti di una società
È l’opera più rappresentata di Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore, un testo che agli inizi dell’anno duemila la rivista Time collocò al secondo posto tra i dieci lavori teatrali più significativi del Novecento (il primo posto assoluto toccò a Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello). Struggente e al tempo stesso lucido nel fotografare una realtà piccolo borghese americana, fatta di delusioni e sconfitte, il dramma vanta nel suo curriculum grandi registi (Elia Kazan e Luchino Visconti furono i primi a portarla in scena). È ora la volta di Leo Muscato che dirige un cast di valenti attori: Alessandro Haber nella parte di Willy Loman; Alvia Reale in quella della moglie Linda; Alberto Onofrietti e Michele Venitucci rispettivamente in quella di Biff e Happy, i figli; Duccio Camerini nel ruolo di Charley. E con Stefano Quatrosi, Fabio Mascagni, Beniamino Zannoni, Paolo Gattini, Caterina Paolinelli, Margherita Mannino, Anna Gargano. Le scene sono di Andrea Belli, i costumi di Silvia Aymonino, il disegno luci di Alessandro Verazzi, le musiche di Daniele D’Angelo. Una co-produzione Goldenart Production con il Teatro Stabile
del Veneto e Teatro Stabile di Bolzano. In programmazione in prima nazionale al Verdi di Padova da mercoledì 5 (ore 20.45) a domenica 9 febbraio (ore 16) e al Teatro Goldoni di Venezia dal 13 al 16 febbraio. Venerdì 7 alle 17 ci sarà l’incontro con gli artisti nel Foyer del Teatro Verdi.
Con la sua mimica dissociata e nevrotica Haber, che in gioventù ha interpretato la parte di Biff, incarna alla perfezione Willy Loman, un piccolo uomo, vittima della propria superficialità e del «sogno americano» rivolto al facile successo e al benessere.
Un sogno che permea l’intera nazione e che Miller denuncia senza fare sconti al suo paese. Loman non è solo un uomo superficiale, perso die
tro progetti di vita che non potrà mai realizzare perché non ne ha le capacità, ma è anche un padre che ha allevato i figli al culto dell’apparenza finendo col farne dei falliti. Quando il maggiore, Biff, era uno studente, per un breve periodo era sembrato che potesse avere davanti a sé un avvenire luminoso, ma tutto era franato. Scoprire che il padre aveva un’amante - alla quale faceva regali spendendo soldi sottratti alla famiglia - aveva deluso profondamente il ragazzo che aveva abbandonato gli studi sul punto di ottenere il diploma alla scuola superiore, e numerose università gli avevano offerto borse di studio per le sue doti di giocatore di football. Il suicidio di Willy segna la fine di un’esistenza che non riesce a riscattarsi nemmeno con la morte.
Al successo planetario della pièce, oltre ai contenuti che toccano i nervi scoperti di una società, come quella contemporanea, sempre più sbilanciata verso l’apparire, concorre la sua costruzione drammaturgica giocata su due registri, la realtà e l’allucinazione. «La vicenda – spiega Masolino D’amico, traduttore del testo - si svolge contemporaneamente sulla scena, sotto gli occhi del pubblico, e nella testa del protagonista, dove gli spettatori, a differenza dagli altri personaggi, sono chiamati a entrare. Ne risulta una macchina teatrale che è rimasta appassionante e attuale, oggi come quando debuttò nell’America vittoriosa del secondo dopoguerra».