Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’ARTE TRA PRIVATO E PUBBLICO
La gestione nazionale del proprio patrimonio museale è strettamente legata alla storia del nostro Paese: infatti, se in Italia manca un grande museo nazionale – come possono essere il Louvre, il Prado, la National Gallery – il motivo fondamentale risiede nella disarticolarità della storia patria e nel policentrismo tipico di Stati di recente formazione e che in precedenza erano frammentati in più realtà. Da ciò discende inevitabilmente il radicamento a livello locale delle attività museali e l’elevata quantità di centri culturali, della più varia natura giuridica, presenti sul territorio.
I processi di promozione di reti museali locali – aperti anche a realtà pubbliche non statali ed a quelli privati, mediante sistemi di accreditamento che devono rispettare dei predeterminati standard qualitativi – rappresentano le linee politiche volte a garantire la certificazione della qualità del patrimonio italiano anche attraverso la previsione di un regime giuridico differenziato e senza rinunciare al pluralismo tipicamente nazionale.
È da oltre vent’anni, d’altronde, che si discute sul rapporto che intercorre fra arte pubblica e arte privata, spesso contrapponendole tra loro.
Mentre, grazie alle riforme introdotte nel nostro sistema legislativo nell’ultimo decennio, per l’osservatore è possibile guardare a tali fenomeni da un’unica prospettiva, superandone la bipartizione.
Nonostante ciò, capita sovente di sentir ancora oggi parlare, da una parte, di museo pubblico, qualità dell’offerta pedagogica, scarsità di risorse economiche, e, dall’altra, di investimento privato, mero intrattenimento, attenzione solamente per le realtà dalla maggiore attrazione. Se per certi aspetti tale distinzione rimane comunque attuale, si può tuttavia ritenere superata la cesura: gli investimenti privati, anche attraverso le grandi fondazioni, hanno sempre più attirato la qualità, non solamente delle opere esposte, ma anche degli addetti ai lavori.
Al contempo alcuni innovativi strumenti normativi hanno permesso di raccogliere capitali tramite ad esempio l’art bonus, diventando un modello di riferimento anche per gli altri Paesi europei, unitamente alla sempre maggiore autonomia riconosciuta ai musei statali.
Il focus si dovrebbe spostare, quindi, dalla contrapposizione fra pubblico e privato all’organizzazione degli stessi soggetti in una visione più fluida di cooperazione, per un’offerta più organica del prodotto culturale.
L’attenzione è piuttosto da porsi sull’innovazione del racconto dell’arte: è necessario modificare la comunicazione, sia essa attrattiva o contenutistica, non solo attraverso l’utilizzo della tecnologia, ma soprattutto grazie ad un ripensamento dell’offerta che sia proattiva e di interazione con il fruitore.
La società e l’arte possono e devono sempre più dialogare fra loro. Non è, infatti, più possibile concepire i musei, soprattutto quelli periferici, come meri contenitori di opere mute e da archiviare.
I siti artistici e archeologici, le biblioteche, i teatri, il cinema e gli istituti culturali in generale, dovrebbero aprire le porte, non solo a livello fattuale, ma anche concettualmente, verso l’esterno e verso la società nella quale sono inseriti. Particolarmente utile appare un maggior coordinamento con gli eventi pubblici e privati, anche con quelli latamente culturali, oltre a temi aggiornati e in linea con gli argomenti di interesse sociale. Un’opera d’arte risulta potente ove è portatrice di un messaggio la cui comprensione appare la più ampia possibile.
È auspicabile il superamento dell’idea che il mondo dell’arte sia argomento elitario e per pochi, lasciando spazio alla comprensione, da parte della società tutta, che quello della cultura è un mercato che può di nuovo essere fluente e costituire un incentivo di crescita economica e di sviluppo, con conseguente richiamo di maggiori investimenti privati e di un turismo che sia indirizzato anche fuori dalle città d’arte più congestionate, creando un circolo virtuoso per tutti i comparti, siano essi pubblici o privati. Ed è questa la strada che il Veneto sta cercando con profitto di percorrere.